Vicende commerciali intorno al centro della metropoli

logo della rubrica Spazio Milano con l'immagine della facciata del Duomo e la scritta Spazio Milano in nero

Tutti i cinema in centro sono stati chiusi e sono stati trasformati in succursali di catene del settore abbigliamento. Ristorazione, fast food, lusso, alberghi hanno cancellato sedi bancarie, uffici postali e librerie. La varietà merceologica dei negozi del centro è scomparsa.

Milano ha seguito negli ultimi dieci anni una politica di completa accettazione dei cambiamenti nel settore commerciale. Non si è mai opposta o ha cercato di mitigare gli effetti dei cambiamenti.

“Un aspetto evidente della crisi sanitaria a Milano è la perdita della sua attrattività”, piange lacrime amare il Presidente di Confcommercio Sangalli.

Secondo calcoli prudenziali nel 2020 i turisti che erano la linfa del centro storico a monocultura si dimezzano da undici milioni a cinque nel caso migliore. Bar e ristoranti si sono attestati su un fatturato a meno 80% rispetto all’anno precedente. Manca il turismo di fascia alta americano e russo. Mancano i 700.000 che ora fanno smartworking e che prima ogni giorno entravano in città. Non si sa se e quando torneranno gli studenti universitari. La crisi degli alberghi sta in due cifre, 30% appena degli alberghi riaperti con un’occupazione delle camere del solo 15%.

Grande nemica della monocultura dei centri la “nuova normalità digitale” che permette ai consumatori di fare acquisti senza dover recarsi nelle aree commerciali.

Le Olimpiadi del 2026 sono un miraggio, ancora troppo lontane. In corso d’opera Fosun, gruppo finanziario cinese, modifica il progetto di un ulteriore grande centro commerciale nella ex sede di Unicredit. Nessuno ha ancora affittato gli spazi che saranno sul mercato da fine anno.

Si corre ai ripari arricchendo la gamma merceologica, forse anche delle librerie, fino a poco fa per nulla considerate, visto il basso valore aggiunto del bene libro.

Altre città europee hanno manifestato nell’ultimo decennio strategie ben diverse da quella di Milano. Si sono battute contro cambiamenti di destinazione d’uso giudicati rischiosi. Berlino non ha accettato il cambio di destinazione delle aree industriali. Milano ha accettato con entusiasmo ogni possibile conversione da industriale a terziario. Parigi ha vincolato anche i negozi storici. Ora il suo Sindaco, la Hidalgo, con la “città a 15 minuti”, vuole far convivere la “nuova normalità digitale” con un’offerta variata di servizi e beni a distanza di una passeggiata.