Ho sempre pensato che il Valore è nella “misura” delle cose. La “dismisura”, la loro negazione. L’esaltazione del “macro” che ha accompagnato per decenni la nostra esistenza ha prodotto una condizione di squilibrio permanente, esaltando un’ideologia del consumo e dell’autodistruzione in sintonia con una economia globale senza regole.
Città-macro hanno alimentato la nascita di grandi aree urbane, labirinti in cui è stata cancellata la nozione e il significato di città, di luogo, di casa. La città è divenuta così la “negazione dell’architettura” e l’architettura “negazione della città”; un dialogo tra architettura e urbanistica già interrotto dalla rivoluzione industriale.
All’accumulo e seduzione di valori materiali non abbiamo saputo, quindi, contrapporre la ricerca di valori umani e spirituali; cancellando la speranza di coniugare materia e memoria, corpo e anima, identità e visioni. La stessa nozione di “confine” ha perduto il significato originario, la sua profonda sacralità.
Nel tempo dell’era digitale siamo, dunque, tutti “fuori misura e fuori luogo”. Obbligati a vivere un “tempo inabitabile”. Ritrovare la giusta misura è, più che una scelta, una “necessità di sopravvivenza”.
A partire dalla Casa, dalla sua necessaria mutazione, dalla sue relazioni intrinseche con lo spazio e la struttura della Città, non più disegno e desiderio di comunità ma sempre più corpo senza anima. “Mutare la casa per cambiare la città” è divenuta una necessità e, forse, unica possibilità di salvezza.
Ma com’è mutato il concetto di casa, in che misura le nostre case stanno cambiando la loro spazialità e identità? Perché le case, come le città, sono destinate a cambiare radicalmente nel prossimo futuro? Perché sono obbligate a rigenerarsi?
Anzitutto, per una nuova consapevolezza di un futuro incerto, segnato sempre più da possibili emergenze che impongono di ripensare modelli consolidati ormai in crisi. Già la pandemia, svelando i tratti perversi di una decrescita qualitativa e modelli di sviluppo ormai obsoleti, con la sua azione destabilizzante ha messo in luce l’urgenza di una diversa idea e misura dello “spazio dell’esistenza” e delle relazioni umane, con la necessità di un “habitat multiforme”, adattabile ad ogni condizione e cambiamento.
Riconquistare la misura, e con esso il “Valore umano” dello spazio e del tempo, è divenuto prioritario giacché la “casa intelligente”, tanto desiderata, non corrisponde più ai criteri funzionali e identitari della cultura razionalista ma è tutta da reinventare come “forma ed essenza” di un grande mutamento culturale, sociale, economico ed esistenziale. La sua misura, non più macro ma sempre più micro. La sua natura non più “metrica” ma “psicofisica”.
Si impone, dunque, “la casa multiforme” consapevole, allora, dei grandi mutamenti, che sa adattarsi alla realtà globale del circuito della comunicazione, e sempre pronta a reinventarsi dinanzi alle sfide e alle incognite del futuro. Uno spazio metamorfico e dinamico, multifunzionale, autosufficiente nella sua articolazione, dotato di ogni tipo di strumentazione tecnologica e digitale, concepito con spazi attrezzati a rispondere alle nuove esigenze lavorative, di apprendimento, di cura della salute, e finanche di interscambio comunicativo e socializzazione. Una casa non più rifugio ma “cuore pulsante” di un nuovo processo dialogante capace di orientare nuovi modelli di aggregazione e di rigenerazione urbana.
Misura, forma e spazialità della casa tradizionale e dei suoi nefasti derivati, espressione della vulgata edificatoria delle nostre città, muteranno, quindi, profondamente dinanzi all’incalzare delle innovazioni tecnologiche in perfetta sintonia con la rivoluzione digitale e la nuova condizione del vivere globale.
Una casa, dunque, pronta ad aprirsi, anzitutto, ad una nuova idea di polis, una casa ( e una città) intelligente consapevole della necessità di nuove relazioni umane e creative in grado di ridurre sempre più le distanze con la strada, la rete, il Web.
Una modificazione spaziale e identitaria già orientata dai grandi cambiamenti sociali in atto con la riduzione dei nuclei familiari sempre più ai minimi termini, l’invecchiamento della popolazione, la condizione del vivere delle nuove generazioni sempre più nomadi, solitari e invisibili, la nuova organizzazione e opportunità di lavoro da remoto.
All’orizzonte, ma l’oggi è già futuro, l’interconnessione quale elemento unificante e ispiratore di nuovi spazi fisici e processi aggregativi. Ma non solo la casa e la città, ma anche oggetti intelligenti abiteranno le nostre dimore grazie all’Intelligenza artificiale, e all’internet delle cose – Internet of Things (IoT) -; una rete di dispositivi smart fisici ed altri oggetti correlati alla rete consentiranno di condividere dati riducendo processi sino ad oggi dipendenti dalla manualità e automatizzando così le attività ripetitive. Opportunità che potranno essere estese in varie direzioni e modalità, come il monitoraggio dell’utilizzo dell’energia e dell’ottimizzazione del consumo, con la conseguente riduzione dei costi energetici.
La domotica e l’automatismo delle tecnologie nelle case in simbiosi con IA al centro, dunque, di una mutazione epocale, determineranno nuove abitudini e comportamenti sino a trasformare radicalmente il concetto di Casa. Ma sarà anche il cambiamento climatico uno dei fattori principali ad influenzare, in direzione di una sostenibilità, le scelte di chi vede nella Casa il momento magico del desiderio.
Ma in quale direzione si indirizza l’offerta del mercato immobiliare, su quali parametri ruota la domanda?
Si impone la casa smart, eco-sostenibile, intelligente, dotata di efficienza energetica, sicurezza, confort, con ridotto impatto ambientale, capace di trasformarsi con soluzioni flessibili e offrendo spazi domestici dedicati al lavoro da remoto. Insomma una richiesta di rigenerazione complessiva del valore-casa che richiede risposte adeguate anche sul piano della riprogettazione delle forme e degli spazi abitativi.
Strategico sarà, allora, il tema di come ridare segno e disegno, immagine e identità, alla casa multiforme, “al dentro e al fuori” di una spazialità sempre più complessa, intercettandone la relazione intima e segreta della sua natura. Un’entità fisica e psichica tutta da reinventare capace di interpretare in maniera nuova arte e immaginazione, materialità e spiritualità.
Quando penso alla Casa il mio pensiero va alla casa ma-paterna, quella casa dell’infanzia felice in cui spazi chiusi e spazi aperti si rincorrevano in una unità spaziale senza fine, con tanti elementi a caratterizzarne la suggestiva molteplicità: dal cortile giardino in cui dominava la casetta, il mio laboratorio d’arte con il grande camino, la scalinata in pietra, il pozzo, una fontana, il terrazzamento, un grande muro e il possente albero di ciliegio con le sue fioriture meravigliose, la presenza vitale del variegato mondo animale, galline, cani, gatti. Ancora oggi il richiamo profondo di quella casa, la casa vissuta, appare in sogno come un luogo magico di interrelazioni umane e poetiche. “Nella casetta esponevo i miei disegni, i miei sogni; su dal tronco dell’albero guardavo in basso le mutazioni dell’orto, in terrazza scoprivo lo spazio infinito ammirando l’orizzonte” (si veda il mio “L’orto dell’arte e della mente”). La sua misura un equilibrio di varie componenti il pieno, il vuoto, la luce, il buio, la pietra, la natura.
Di recente la tendenza nel privilegiare nelle grandi città e nelle aree metropolitane la scelta di micro-case (Le Tiny House), dettata inizialmente dallo stato di necessità e legato all’aumento indiscriminato dei costi del mercato abitativo, pare sia divenuto un vero e proprio fenomeno.
Ma cosa nasconde il desiderio di piccole case, orientata di fatto a divenire qualcosa di più che una soluzione di ripiego? Non c’è dubbio che la scelta in molti casi è dettata da una necessità e condizionata dai costi, sia energetici che economici, notevolmente ridotti, ma in molti casi scegliere di vivere in abitazioni più piccole, dove gli spazi sono ridotti al minimo, è da collegare al crescente interesse per una vita sostenibile e green. Un nuovo modello di abitabilità, essenziale e in gran parte atipico, prodotto da nuove problematiche sociali e ambientali, che ha trovato larga diffusione negli Stati Uniti. Parliamo di case sui 40 metri quadri, a volte anche al di sotto di venti, a basso impatto ambientale, dotate di ogni confort, concepite con materiali innovativi dai costi ridottissimi e con un valore aggiunto dato dalla mobilità, nel senso che possono essere trasportate e quindi utilizzate da un luogo ad un altro. Senza dimenticare l’interazione con l’ambiente, la natura. Per alcuni già una scelta volontaria, per altri, una possibilità di soluzione immediata derivante dal disagio economico.
E accanto alla tendenza per le micro-case un altro modello immobiliare il Co-living, dettato oltre che dall’esigenza di ridurre i costi dell’alloggio, anche dalla solitudine lamentata da molti giovani che vivono in città, promuove l’affitto di alloggi flessibili in edifici con spazi condivisi.
Davanti a noi una vera e propria rivoluzione. “L’abitazione mobile”, nata sotto la spinta di una crisi immobiliare e abitativa, può divenire elemento concreto di destabilizzazione del modello città, imperniato su staticità e amovibilità della Casa. Mettendo in crisi tutti i modelli di sviluppo territoriale e urbano l’abitazione mobile si impone per la sua unicità e obbliga a pensare a nuove soluzioni e a re-immaginare “la bellezza smarrita delle città”.
Ci apprestiamo, dunque, a vivere inedite metamorfosi urbane, giacché ripensando le Case forse riprogetteremo la città, lo spazio pubblico, annulleremo il centro e le periferie, salveremo l’idea di città.
Il mio sogno ricorrente? Una Casa che sia “spazio umano e spirituale”, un habitat aperto che sappia interpretare il senso del vuoto e del pieno, capace di nutrirsi d’ arte, tecnologie, culture e natura, e soprattutto in grado di interconnettersi con la molteplicità, la complessità e l’interculturalità.
Forse, un domani non troppo lontano, ci ritroveremo oltre “le macchine” anche le “case volanti”.
I disegni sono di Fernando Miglietta, serie “Fuga dalle città e case intelligenti”, pastello e cera, 2020
Fernando Miglietta: architetto, artista, critico, teorico. Accademico d’Onore delle Arti del Disegno di Firenze, direttore dell’Istituto di ricerca urbana e della rivista Abitacolo, da lui fondata. “Personaggio-cerniera nelle ipotesi di nuovi scenari del mondo” (Alessandro Mendini), impegnato nella sua idea di architettura “plurale”, autore di opere e progetti di architettura e urbanistica. Tra i suoi libri: Progettare l’immaginario (Laterza), L’Unità e le Differenze, Architettura plurale (Rubbettino), Architettura e libertà (Gangemi).
Courtesy: “il Quotidiano del Sud – l’ALTRA VOCE dell’Italia”, MIMÌ-inserto Cultura del 29.12.2024 pp. XII-XIII, a cura di Roberto Marino e Edvige Vitaliano