Tibet, il padiglione per non dimenticare – A pavilion for not forgetting

nella foto si vede una cartina geografica dell'Asia ammirata da un monaco tibetano di profilo, forse il Dalai Lama.

Sono trascorsi ormai 62 anni da quella tragica data (10 marzo 1959) in cui il Dalai Lama fu costretto ad abbandonare il Tibet, ma nulla è stato fatto per ridare speranza e libertà al popolo tibetano. Nel 2010 nasceva Padiglione Tibetil padiglione per un Paese che non c’è e vari eventi artistici realizzati in dieci anni di attività. Presto il tema sarebbe stato assunto con entusiasmo dalla Biennale di Venezia. Obiettivo: catalizzare l’interesse dell’opinione pubblica su tale situazione e ricordare questo popolo che ormai si può definire una minoranza etnica che rischia di perdere i più basilari diritti umani, la propria identità ed il proprio patrimonio culturale e spirituale, fondati su concetti di pace e non violenza.

Tibet: una nazione che evoca da sempre un sentimento religioso, mistico, di pace, una vitale “centralina” spirituale per tutti gli esseri umani in contrapposizione con un Paese confinante (ora non più, visto che lo ha occupato da decenni) dal devastante materialismo consumistico. Un Paese oppresso, la cui stessa cultura e la propria lingua rischiano di essere perdute per sempre. Un Paese schiacciato da un altro popolo vicino, anch’esso ricco di fascino e mistero. Ora qualcuno desidera annichilirli entrambi, gettandone uno nel baratro della distruzione, sia fisica che culturale, e abbruttendo l’altro con lo spettro della consapevolezza di aver compiuto un terribile atto di sopraffazione condannato (ma non abbastanza dalle altre Nazioni).

Da sempre i Padiglioni Nazionali della Biennale di Venezia attestano l’esistenza di una Nazione, la ricchezza della sua Arte e la dignità della Cultura del suo popolo.

Ogni padiglione è per sua stessa natura un grande contenitore d’arte… Invece Padiglione Tibet, così come l’ho concepito nel 2010, è già Arte anche nella sua concezione ed ideazione. THE PROJECT IS ART: un progetto parallelo alla Biennale.

Si è realizzato ciò che l’allora presidente della Biennale Paolo Baratta aveva auspicato in un articolo a firma di Francesca Pini pubblicato su “Sette”, supplemento del Corriere della Sera. Tanto che inserì di fatto Padiglione Tibet tra i Padiglioni Nazionali dei Paesi in cerca di un’affermazione anche geopolitica.

Padiglione Tibet “un sogno che ha lasciato il segno” ma – come diceva Kubrick –  “nessun sogno è solamente un sogno”.


 

Sixty-two years have passed since that tragic date (March 10, 1959) when the Dalai Lama was forced to leave Tibet, but nothing has been done to restore hope and freedom to the Tibetan people. In 2010 the Tibet Pavilion was born – the pavilion for a country that does not exist. Various artistic events carried out over ten years of activity. Soon the theme would be enthusiastically taken up by the Venice Biennale. Objective: to catalyze the interest of public opinion in this situation and to remember those people who can now be defined as an ethnic minority that risks losing their most basic human rights, their identity and their cultural and spiritual heritage, based on peace and non-violence.

Tibet: a nation that has always evoked a religious, mystical, peace sentiment, a vital spiritual “control unit” for all human beings in contrast with a neighboring country (now no longer, since it has been occupied since decades) with devastating consumerism. An oppressed country, whose very culture and language are in danger of being lost forever. A country crushed by another neighboring people, also full of charm and mystery. Now someone wants to annihilate them both, throwing one into the abyss of destruction, both physical and cultural, and brutalizing the other with the specter of the awareness of having carried out a terrible act of oppression condemned (but not enough) by other nations.

The National Pavilions of the Venice Biennale have always attested to the existence of a nation, the richness of its art and the dignity of its people’s culture.

Each pavilion is by its very nature a great container of art… Instead, the Tibet Pavilion, as I conceived it in 2010, is already Art in its concept. THE PROJECT IS ART: a parallel project to the Biennale.

What the president of the Biennale Paolo Baratta had hoped for in an article by Francesca Pini published in “Sette”, a supplement to Corriere della Sera, has been achieved. So much so that he actually inserted the Tibet Pavilion among the National Pavilions of the countries in search of a geopolitical affirmation as well.

Tibet Pavilion: “a dream that has left its mark” but – as Stanley Kubrick said – “no dream is just a dream”.