Il Nobel Roger Guillemin sulla sua arte

fotografia bianco nero biennale venezia 1997, interno, due uomini parlano davanti a quadro, a sinistra roger guillemin, a destra carmelo strano
Roger Guillemin e Carmelo Strano, alla Biennale di Venezia, 1997, alla rassegna Unimplosive Art
fotografia bianco nero biennale venezia 1997, interno, due uomini parlano davanti a quadro, a sinistra roger guillemin, a destra carmelo strano
Roger Guillemin e Carmelo Strano, alla Biennale di Venezia, 1997, alla rassegna Unimplosive Art

Arte e scienza, fantasia e ricerca specialistica costituiscono un binomio. Ognuna è tuffata nella propria specificità e approda ad esiti che non hanno punti di contatto con l’altra. Sembrerebbe che la scienza sia segnata dalla dura ricerca e l’arte dal godimento. Si potrà dire probabilmente del maggiore rigore e dell’oggettività più fortemente inesorabile a proposito della  scienza. Ma sono tratti semiologici spesso accompagnati quanto meno da momenti di “godimento”. Questo ricorre di più nell’arte, è vero. Ma l’arte che conta e che lascia il segno è ricca di sacrifici, non meno. Perché è pur sempre ricerca. Né si potrà dire che in uno dei due casi la pulsione sia meno importante. Al più sarà facile rilevare che la pulsione-godimento nell’arte sia più esplicita, e magari più insistente.

Roger Guillemin, “After Taos Diebenkorn Sage”, Digital Painting

Roger Guillemin ha vissuto entrambe le esperienze, entrambe le pulsioni. Certo, quando si tratti di tensione che, tra laboratorio e intuizione, mette in luce che “l’ipotalamo regola la funzione pituitaria con mezzi chimici” entra in gioco anche il senso di responsabilità verso l’umanità, l’autoremunerazione per la scoperta assieme alla coscienza del contributo dato alla medicina. Guillemin ha coltivato da sempre l’arte, con acquerello e olio. Ma, quando, dopo tempo, allenta l’impegno nella scienza, si tuffa nell’arte e dà prova di ricerca nel mondo del digitale. Con risultati tutti suoi, con contributi tecnico-tecnologici e morfologici. Facile capire che, avendo provato per molti anni la dura impresa nella scienza, ai suoi occhi e nella sua mente l’arte si rivela una grande compensazione sentimentale, emotiva ed estetica. Comprensibile allora che egli sia portato a dire, a proposito del suo “impegno” nell’arte, che non vi ha riversato “nessun obiettivo se non il proprio godimento”. Peraltro, per costituzione e per esperienza di vita quotidiana non c’è ombra di spontaneità naïve in fatto d’arte.

La sua casa è una sorta di museo, tra arte precolombiana e contemporanea con ampia presenza di quella americana. La biografia dice che nel 1975, due anni prima che gli venga conferito il Premio Nobel, allora professore di Fisiologia alla Baylor College of Medicine, vince il Lasker Award dotato di un assegno di 2.500 dollari. Il giorno dopo va in una galleria d’arte di New York e acquista un dipinto di Helen Frankenthaler. Il lavoro dell’espressionista americana verosimilmente dà qualche stimolo all’artista Guillemin il quale però finisce con l’aprire presto il proprio orizzonte nel digitale.

Ci si incontra nel 1997, a Venezia. Nell’ambito della Biennale d’Arte realizzavo la mostra di circa 80 artisti e architetti di ricerca (cito en passant Bernard Tschumi, Arakawa  & Gins, Alberto Burri, Francis Bacon, ORLAN, Bill Viola, Peter Weibel) all’insegna del mio concetto di “Unimplosive Art”. Invitavo due scienziati, artisti entrambi, Benoit Mandelbrot, il matematico dei frattali, e Roger Guillemin. Questi avvinse i visitatori, nella conferenza allestita per l’occasione, e con le sue opere in mostra. Parole asciutte, profonde, semplici, come gli è proprio. Il suo “own enjoyment” sicuramente era già libero, deciso, incisivo. E contagioso.

Roger Guillemin, Series L’été, n.2, Digital Painting

Intervista a Roger Guillemin, artista e scienziato, Premio Nobel per la medicina nel 1977.

Crede che l’arte e la scienza abbiano in comune alcuni principi metodologici?

“Non vedo alcuna connessione né somiglianza tra di essi”.

Condividono almeno la sua spinta a cercare qualcosa?                                                    

 Sì e no. Per quanto riguarda la scienza, la pulsione era, alla fine, rispondere a una domanda specifica (isolamento, struttura molecolare …) di una specifica molecola di origine cerebrale. Per quanto riguarda l’arte, si tratta di produrre un’immagine sullo schermo di un computer, una tela o un disegno su carta che soddisfi i miei gusti, almeno per quel momento. Ma io posso intervenire e cambiare la stessa immagine sempre in base ai miei gusti”.

Si può dire che entrambe le discipline siano caratterizzate dalla stessa reazione emozionale e dallo stesso senso di sorpresa?

“Non si tratta della stessa reazione emotiva. La scoperta scientifica è la risposta ad anni di lavoro di laboratorio, mentre l’immagine si ottiene in pochi secondi. E senza alcun presupposto”.

Forse è interessante evidenziare se il principio di soddisfazione sia stato praticato allo stesso livello sia nella scienza che nell’arte o se, al contrario, normalmente ha continuato a indagare fino a … fino a quando?

“Il principio di soddisfazione… continua fino a quando non si stabilirà la struttura molecolare, confermata (ci sono voluti diversi anni…). Invece l’immagine può essere trasformata in pochi secondi finché non raggiungo un risultato che mi piace.

Pensa che, nel momento in cui ha fatto le sue scoperte scientifiche fondamentali nella neuroendocrinologia, avrebbe potuto fare più facilmente e velocemente se avesse avuto a disposizione innovazioni tecnologiche più sofisticate?

“Sperando di avere capito bene la domanda, direi che indubbiamente le metodologie aggiornate, semmai disponibili, avrebbero notevolmente ridotto il tempo di ricerca fino all’isolamento e alla struttura molecolare corretta”.

Cosa si augura per il futuro della neuroendocrinologia?

“Spero che possa continuare la ricerca sui livelli molecolari della conoscenza e, cosa forse più importante, sarà opportuno rendersi conto che i risultati soddisfacenti sono una decisione altamente individuale e non necessariamente condivisa da altri”.

Ha sempre coltivato un interesse speciale per l’arte antica e contemporanea anche all’interno della sua famiglia. Pensa che questo contesto creativo familiare abbia influenzato il suo lavoro di ricerca scientifica?

“Nel cervello di ognuno di noi … un po’ ci si aspettava che i bambini avrebbero condiviso … ognuno a modo suo. In realtà, penso che l’amore per le arti non abbia avuto alcun effetto negativo sulla mia pratica scientifica”.

Per quanto riguarda il suo percorso artistico ha probabilmente continuato a praticare il suo modo di ricercare nella scienza, semplicemente cambiando il campo delle indagini. Si potrebbe parlare di una sorta di continuità?

“Nel campo della ricerca scientifica ci sono risposte specifiche a domande specifiche. Facendo computer art, non c’è un obiettivo immediato da raggiungere. Importante è l’attenzione all’estetica di un’immagine, tenendo conto della facilità con cui si può passare a quella successiva”.

La sua passione per la pittura contemporanea (soprattutto Lyrical Abstraction) non solo ha dato origine a un’interessante collezione familiare, ma ha persino finito per spingerla a diventare un artista di speciale talento che concepisce una proposta espressiva supportata dalla tecnologia. Forse questa importante esperienza è stata come una nuova vita per lei…

“Sì e no. In pratica, c’era un obiettivo finale: una struttura molecolare per una molecola che all’epoca era ancora sconosciuta. Nelle mie immagini e dipinti realizzati al computer non c’era un obiettivo specifico, se non quello estetico, appunto. E se qualcosa non piace, si può passare a qualcos’altro in pochi secondi. Lo stesso non accade nella ricerca, per quella molecola sconosciuta nel cervello che stimola la secrezione di ACTH o TSH (tireotropina) che ha richiesto anni per il completamento. In verità, non ho mai pensato a me stesso come artista professionale, non è cosa che mi abbia mai interessato, si tratti di dipinti realizzati al computer o altro”.

C’è qualche altro interesse nella sua vita che avrebbe voluto realizzare ma non le è stato possibile?

“Sì, ma non sono mai stato un buon fantino alle gare di galoppo”.

Se avesse avuto la possibilità di scegliere tra il Premio Nobel per la medicina e il Premio Nobel per l’arte (se mai esistesse), quale sarebbe stata la tua scelta?

“Grazie a Dio non c’era – e non c’è – una scelta come questa!”

(C.S.)

Roger Guillemin, “After Nolde”, Digital Painting