Fuori dai denti/ Ravatti

Fuori dai denti/ Ravatti Mezzabotta

I social network mettono alla prova la spocchia dei dotti, dei vecchi. La mia, per esempio. L’unico dovere degli artisti, se per costoro si può parlare di obblighi, è quello di occupare ogni spazio a disposizione. Alla faccia di quelli tradizionali, ormai quasi tutti resi innocui da solerti operatori d’arte impegnati a disinnescare le mine vaganti che per cambiare un po’ le cose i veri artisti cercano di collocare dove possono.

La storia dell’arte è sempre stata infarcita di compromessi e sotterfugi e il periodo in cui viviamo non fa eccezione quanto a disastri, invasioni barbariche e Guerre dei trent’anni, quindi mai perdersi d’animo. Hanno inventato i social e qualcuno meno spocchioso del sottoscritto li adotta con successo. Beh, non un successo paragonabile per quantità a quello degli influencer vari, diciamo meglio, un successo di coscienza e di coerenza spirituale.

Chi l’ha detto che quest’aggettivo sia ormai sorpassato? e chi l’ha detto che le Wundercamera, inventate nel Seicento, non possano nel Duemila e passa tornare in auge attraverso i social? Piero ½ Botta le reinventa, agisce come se la sua compulsività nel raccogliere oggetti significativi non abbia confini o restrizioni.  È vero, su Instagram lo spazio fisico va a farsi benedire, quello architettonico è un’altra cosa, ma l’immaginazione che sostiene quanto vediamo sullo schermo di un pc o di un telefonino può render forse meglio di qualsiasi esposizione ciò che la realtà (quella urbana soprattutto) ci mette sotto il naso tutti i giorni. La fotografia, soprattutto quella incurante di estetismi, quella che affida all’occhio attento le sue riprese improvvisate, mostra in questo caso tutta la sua potenzialità. Fuori dai denti/ Ravatti

Cosa troviamo nella “stanza” di quest’artista oltre al suo ritratto?  E’ difficile specificare. Come in tutti i ravattumi che si rispettino (ravatti è ligure, ciarpame in italiano, res nullius dicitura giuridica aulica), anche in questo i sostantivi surclassano gli aggettivi: 3 f, fica, ferita e fetore (Kaurismaki e Federigo Tozzi), il coltello del macellaio accanto al bisturi del corniciaio (Courbet accanto a Velasquez), il foulard di Hermes sul materasso sfondato del barbone. “Ancora quasi naturale”? Nient’affatto: il mare consuma e mimetizza sulla battigia le sue vittime: a Viareggio quarant’anni fa non distinguevo dai ravatti della mareggiata recente un barbone sdraiato al sole e coperto da sacchetti di plastica colorati. In quest’ambiente metropolitano da cui Lotto è fuggito per la campagna, domina un sentimento, anzi un dis-gusto: l’horror vacui.

Scappo, mi rifugio nel mio Vuoto.

Dello stesso autore: Fuori dai denti/ James Lee Byars all’Hangar Bicocca