Pregiudizi razziali, e le parole mentono

l'immagine è una foto in bianco e nero che mostra un paio di mani incatenate vicino ad un cuscino sopra un materasso con decorazioni infantili

L’atroce omicidio di cui è restato vittima il 25 maggio il giovane afroamericano George Floyd ha scatenato l’indignazione generale e scoperchiato il vaso di Pandora di tutte le discriminazioni che quotidianamente nel mondo si perpetrano ai danni delle minoranze di colore.

Il risentimento dei dimostranti si è manifestato dappertutto non solo per i ricorrenti episodi di razzismo nella civiltà del XXI secolo.

Si tratta anche del tono celebrativo con il quale è stata narrata storicamente la violenta sottomissione e lo sfruttamento di centinaia di milioni di uomini e di donne, la cui unica colpa sarebbe quella di non essere stati capaci di difendersi e respingere l’invasione europea.

Gli imperi coloniali hanno creato una buona parte della loro ricchezza con l’uso della violenza, giustificato con il pretesto di diffondere prima la religione cristiana, poi la civiltà.

Le espressioni esplorazioni geografiche, scoperta di civiltà altre, grandi navigatori, coraggiosi pionieri, intrepidi avventurieri titolano ancora interi capitoli di manuali di storia europei.

Essi – volontariamente o involontariamente – giustificano moralmente di fronte alle giovani generazioni le aggressioni consumate ai danni dei popoli meno capaci degli europei di usare la violenza e l’inganno.

I genocidi di Cesare in Gallia e di Carlo Magno contro i Sassoni vengono definiti campagne di conquista, mentre uno spazio ben più ampio occupano le narrazioni delle persecuzioni contro i cristiani nei primi secoli dell’impero.

Pochi storici dell’economia hanno potuto calcolare il contributo dato dal lavoro degli oppressi al benessere degli oppressori: indios, schiavi afroamericani, servi della gleba, nullatenenti inglesi deportati in Australia. Ma non sfugge a nessuno la violazione della dignità inferta a interi popoli, i cui eredi, purtroppo, ancora soffrono.

Non è il caso di indignarsi, quindi, se a San Francisco, Boston, Richmond, ecc. le statue di Colombo sono state prese di mira, e alcune demolite, dai dimostranti.

Bisogna indignarsi, invece, se la storia viene raccontata solo come storia dei vincitori, perché non è certamente così che si promuove la riconciliazione fra i popoli, la fratellanza e la vera civiltà universale.