Milano e Roma, diversi approcci all’immobiliare

elaborazione grafica di Ben Bestetti, duomo di Milano bianco su cielo azzurro, in primo piano scritta: spazio Milano
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Le due città hanno sempre espresso classi imprenditoriali con differenti attitudini ma mai come adesso la differenza è diventata profonda. Una delle ragioni del successo riscosso dal settore immobiliare nella metropoli lombarda consiste nell’aver affrontato a Milano, e parzialmente vinto, la sfida degli anni successivi alla crisi del 2008. Sostanzialmente essa è stata risolta riducendo drasticamente i costosi rapporti con il settore bancario, o addirittura facendone completamente a meno. Manfredi Catella, l’imprenditore simbolo della Milano post crisi, opera con la COIMA Spa, finanziato da fondi di investimento stranieri, fondi sovrani e una propria SGR (Società di Gestione del Risparmio). In tal modo si è completamente affrancato dalle incertezze del credito bancario.

Manfredi Catella

Nulla di più diverso da come operavano sul mercato due dei promotori immobiliari milanesi più tradizionali come Ligresti e Zunino, che prima del 2008 vantavano posizioni di rilievo. Con il rapidissimo precipitare della congiuntura internazionale, essi si trovarono a dover sostenere il carico di prestiti bancari, ricevuti negli anni precedenti, che avevano assunto ormai un valore ampiamente superiore a quello degli asset posseduti e, in quel periodo, completamente invendibili. La loro scomparsa – inevitabile – è stata repentina, ma subito sostituita dal 2008 in poi  da investitori molto professionali, come i gestori dei fondi di investimento Usa e Uk, o come quelli  australiani che subentrarono a Zunino nelle aree Expo e Rogoredo. In realtà si è trattato, di un processo avvenuto anche negli USA e negli altri paesi della Ue. Al promotore immobiliare individuale – avventuroso, pittoresco, con intuizioni geniali ma anche foriere di errori disastrosi – come lo sono stati per esempio i membri della famiglia Trump – succede un gestore di fondi di investimento con profonde competenze immobiliari e moderne capacità organizzative. Manfredi Catella  è tutto questo. Ha una moglie americana, ha studiato negli USA, dove  si è specializzato con un master in Real Estate, frequenta investitori istituzionali e a questo aggiunge pragmaticità e competenza, derivate dall’esperienza familiare, essendo stato il padre un potente socio di Hines. Partecipa ai convegni del Sole 24Ore, perfettamente a suo agio con industriali e rettori universitari.

 

La sua idea abbastanza straordinaria è stata quelle di proporre la zona di rigenerazione urbana di Garibaldi come una potenziale London Central, ma meno cara, con edifici ad uso uffici di classe A  che a Milano sono appena il 3% contro il 20% di Londra. A differenza di chi aveva operato in altre aree ex-industriali, come Bicocca e Farmitalia, o semplicemente periferiche, come Assago, ha capito che a Milano era venuto il tempo per clamorose architetture postmoderne, autoreferenziali e annunciatrici di una modernità non moralistica. L’esempio è stato seguito a City Life da Generali e Allianz, forse esagerando, con le torri di Lebeskind e  Hadid. Ora propone un asse di rigenerazione urbana che si estende da Porta Garibaldi, lungo  il Passante Ferroviario, fino a Expo. Quasi tutti sono favorevoli anche per il fatto che sarà completamente finanziato al di fuori del sistema bancario italiano molto sofferente. Se si ritiene conveniente la presenza di multinazionali straniere, devono esserci gli edifici.

Invece a Roma il costruttore Luca Parnasi ha proposto un nuovo stadio con relativa superedificazione di uffici e terziario, finanziamenti bancari compresi. Un’operazione  confusa e criticabile. Ragazze con tacchi a spillo lo precedevano alla presentazione del progetto, cosa che Catella non farebbe mai. Poi il tutto è naufragato per contatti politico amministrativi poco chiari con la giunta capitolina e conseguente intervento della magistratura.