Fuori dai denti / La Venere di… Michelangelo

La Venere di...Michelangelo Pistoletto
Spirale, opera monumentale di Richard Serra, Napoli, 2003

Specchio, specchio delle mie brame

                                                                                             Chi è il più bello del reame?

                                                                                             Sei tu, sei tu Sansone

                                                                                             Il più bello del rione1

                                                                                                               Da Il Mistero buffo di Dario Fo

La Venere, gli stracci, Michelangelo Pistoletto

Faccio fatica a prendere la cosa sul serio, c’è da non credere ai propri occhi, “Un grande evento”: su Artribune scorrono le immagini del rogo della Grande Venere degli Stracci di Napoli, in piazza del municipio davanti al Maschio Angioino, e poi sulla performance del Grande Autore alla stampa.

Sansone ci spiega, magnanimo, che occorre un po’ di pietà nei confronti del miserabile barbone, in carcere perché ha appiccato fuoco alla sua gigantesca scultura. Un tempo, quando ancora non s’era bevuto il cervello (ma sapeva già comunque da che parte era imburrato il proprio panino), in formato ridotto l’aveva chiamata “dell’Arte Povera” (i compagni della rispettabilissima scuderia di cui faceva parte – staffiere Germano Celant- avevano mal digerito lo scippo d’un cotale titolo).

“Si dipinge col cervello et non con le mani”

Lungi da me i sospetti di orchestrazione dell’evento, del “rumore”, assicurato in tempi come questi, oltre che infernali per clima, funzionali a tutti i “gazzettieri” (Carmelo Bene). Non bastavano la Mela di Piazza Diaz a Milano, la “Donna col mal di testa” a Firenze (Porta Romana), la miriade di Terzi paradisi con i quali ha cosparso mezza Italia (ma tutti con la geniale furbata della tripla giravolta del simbolo (eh, si sa, occorre qualcosa di nuovo, una zampata di genio! Non mi chiamo Michelangelo?)

Per carità non facciamo paragoni, almeno questo! È da quel dì che Pistoletto ha subìto la metamorfosi. Qualcuno mi sollecita a essere serio, a trattare questa tragedia col rispetto dovuto a un artista che una volta aveva pur prodotto qualcosa di buono (che so, il lavoro per Arte all’Arte al Chiostro di Volterra, il mappamondo rimpicciolito di giornali, l’ultima sua mostra di grandi specchi da Sergio Casoli a Milano, gli autoritratti coi riflessi nelle bacinelle della Camera oscura, forse qualcos’altro che ora non ricordo); devo impegnarmi.

Onore al merito, grande o piccino che sia (lo decideranno i posteri), ma le origini di cotale ubriacatura mentale sono già a metà della carriera. Gli specchi serigrafati con cui ha cosparso il cosiddetto Mondo dell’arte (che per la verità è molto piccolo e si specchia solo in se stesso) erano una genialata, titillavano il narcisismo di tutti (“ci siamo anche noi”, colleghi, amici, gente di potere ecc), una trovata popartistica anticipatrice del postmodern. L’arte, a partire dall’Impressionismo, s’era buttata alle spalle la vecchia pratica della ritrattistica, che aveva dato da mangiare un po’ a tutti per almeno cinque secoli, ma ci sono voluti Warhol e Pistoletto a rimetterla in auge: quel mondo non ne poteva più di cotanto rigore, Pollock, gli Action Painters e poi questi fracassoni di poveristi, per non parlare di tipi come Agnetti o Mauri!

È un fatto che la genialata era funzionale al mercato: troppa fatica mantenere la tensione della creazione e allora mettiamoci a scopiazzare in giro: gli stracci sono di Boltanski (altra levatura, altro spessore), le rotture (beh, lasciamo andare, siamo in tanti; per citarne solo uno: Mario Merz), la Venere stessa  è pescata nell’armamentario del ben più serio Paolini. Devo proseguire? Per carità il “furto” deriva anche dall’ammirazione per un collega; chi non ruba, chi non ha mai rubato? Ma a guardar bene nessun “furto” serio riesce in pieno, per lo meno a chi non può dimenticare la propria originalità, la propria ossessione, la propria tensione. È il rispetto per il linguaggio a giustificalo, per l’arte. Che non appartiene a nessuno.

Ripescarlo oggi nella cloaca maxima del mercato è diventata un’impresa.

Sì, il discorso andrebbe approfondito, ma il rogo non lo merita.

1. Sanità del, questo sì Grande, Edoardo De Filippo

 

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