EU, il filo rosso dell’antropologia

Antoine Pevsner, Masque, 1923, Centre National d'Art et de Culture Georges Pompidou
Antoine Pevsner, Masque, 1923, Centre National d’Art et de Culture Georges Pompidou

STEFANO TRULLA –

Nel nostro tempo pensare a un’antropologia che mette in relazione un «Noi» che studia gli «Altri» è arduo. Lo è anche considerare le «culture» come entità compatte e circoscritte all’interno di confini ben definiti, coincidenti con un «popolo» e un «territorio». Nonostante la sua primigenia vocazione verso l’alterità, l’antropologia si è rivolta anche alle società dalle quali proviene. Ciò, a causa di cambiamenti sociali e politici nei luoghi in cui operava (le colonie). Tuttavia per questioni storiche, politiche e ideologiche, intellettuali e istituzionali, non è riuscita a dedicare all’Europa – nel senso più ampio del termine – uno spazio nell’ambito della propria ricerca, come è successo invece per altre grandi regioni del mondo (Chiva&Lenclud: 1991).

Ad essere oggetto di studio erano le aree europee comprese tra la penisola iberica e i Balcani, passando per l’area mediterranea. Resta il fatto che anche il nord Europa, i territori che si affacciano sul Mar Baltico, la zona delle Alpi e l’Europa dell’Est hanno avuto una certa attenzione da parte dell’antropologia. Anche in questi casi, come nelle parti del mondo «altre», gli oggetti e i soggetti di studio sono i medesimi che hanno caratterizzato le monografie e gli studi sui mondi esotici: la tribù, il villaggio (o paese), i sistemi di parentela, sistemi e metodi che riguardano il campo medico, della cura e della salute, i rapporti di genere, la cultura materiale, la stregoneria e la magia, la modernizzazione delle comunità rurali, lo studio delle classi operaie, la relazione tra contesti locali e globali solo per citarne alcuni.

Nell’ambito di questo “Dossier Europa” è risultato opportuno capire meglio quale fosse la base e il terreno comune dell’Europa. Rendersi conto, insomma, se c’è un’identità europea di fondo che, oltre a tenere in considerazione la storia comune, le strategie politiche ed economiche, includa anche altre categorie come appunto l’identità e la cultura, e come queste entrano in relazione tra di loro. E viene da chiedersi come le differenze culturali presenti nel continente possano coesistere tra di loro di fronte a un piano politico che lavori su larga scala e che abbia ripercussioni concrete nei contesti locali. L’antropologia a questo proposito può fornire una prospettiva critica interessante, proprio grazie alla sua capacità di calarsi nei contesti in cui lavora e anche di analizzare queste costruzioni sociali.

Europa significa popoli, culture, identità, nazioni, stati. Un quadro piuttosto eterogeneo ma con punti in comune. Oggi, con il ritorno dei nazionalismi e delle sovranità nazionali, nel mondo politico e della sfera pubblica, categorie come cultura, identità, stato e nazione vengono utilizzate per legittimare istanze politiche, economiche, territoriali e culturali. In questi discorsi la categoria «identità» diventa un’arma potentissima e punto su cui far leva. Quella che viene intesa come «identità» prende forma nelle produzioni concrete dei gruppi sociali e riguarda significati, valori e finalità che vengono vissute come “fondamentali indicatori di appartenenza” (Dei: 2012). L’identità, poiché è stata intesa come una caratteristica essenziale dei gruppi sociali, è diventata strumento di legittimazione di politiche di esclusione e chiusura. Tuttavia, dopo un lungo lavoro di autocritica e revisione di questa categoria ambigua, oggi si tende a parlare di “azioni identitarie” prendendo in considerazione, oltre alle conseguenze oggettive e simboliche, l’efficacia sociale e politica e i metodi di costruzione e strutturazione (Vienne: 1991).

Per quanto riguarda l’approccio antropologico alla categoria «Stato», è utile tenere in considerazione che l’antropologia si è dedicata sin dai suoi albori allo studio delle società cosiddétte arcaiche, in cui le forme di governo erano profondamente differenti dalla nostra. Esse erano fondate prevalentemente sulla parentela, la tribù, l’etnia, piuttosto che sull’istituzione di una proprietà, un contratto che lega gli uomini e la predominanza della territorialità. Se Engels (1884) vede nello Stato “l’ effetto della divisione della società in classi antagoniste”, Siegfried Frederick Nadel descrive lo Stato come un sistema politico che emerge grazie alla congiunzione di tre elementi: “l’esistenza di un’unità politica fondata sulla sovranità territoriale; un apparato governativo specializzato, che detiene il monopolio della violenza legittima; l’esistenza di un gruppo dirigente, che si distingue dal resto della popolazione per la formazione, il reclutamento e lo statuto, e che monopolizza l’apparato del controllo politico”. Definizioni a parte, l’antropologia, piuttosto che porsi la questione di come sia nato lo Stato, ha affrontato domande relative al suo funzionamento e alle sue forme in contesti e società apparentemente molto diversi. L’efficacia dell’antropologia e dei suoi metodi ci spinge a chiederci se le nostre categorie con cui descriviamo lo Stato siano utili ed efficaci per descrivere sistemi di governo «altri» piuttosto che rinnovare il nostro approccio verso lo Stato moderno (Abélès: 1991).

Accanto alle idee di identità e di Stato, spesso si trova anche quella di «nazione», cioè di quell’insieme di persone che hanno in comune un’origine, una storia e una lingua, e che di queste hanno coscienza pur non avendola necessariamente realizzata come unità politica. L’idea moderna di nazione è strettamente collegata con quella di Stato. Anzi, quasi si sovrappone con essa. Se da un punto di vista “interno” la nazione può essere intesa come un’entità concreta e tangibile, con le sue leggi comuni e con una cultura di massa che include tutti i membri (Smith:2007); da un punto di vista più distaccato essa può essere concepita come il manifestarsi di un’idea politica, un’entità immaginata e costruita attraverso simboli e riti, un tipo di coscienza collettiva (Shore:1993; Conversi:2014). Tuttavia bisogna tenere ben presente che le immagini di Stato e nazione non sono sempre e necessariamente collimanti. Basta pensare ai diversi movimenti secessionisti presenti in Europa, per comprendere che all’interno di uno Stato possono esserci movimenti che rivendicano una propria identità nazionale e un territorio e che sono capaci di mettere in discussione i confini dello Stato stesso.

Bibliografia
Vienne, B. (1991) Identità in Dizionario di antropologia e etnologia. Einaudi, 2006
Chiva, I. & Lenclud, G. (1991) Europa in Dizionario di antropologia e etnologia. Einaudi, 2006
Abélès, M. (1991) Stato in Dizionario di antropologia e etnologia. Einaudi, 2006
Shore C. (1993) Inventing the “people’s Europe”: Critical approaches to Euro-pean community “cultural policy”.Man,28(4), 779-800.
Smith, A. D. (2007) La nazione. Storia di un’idea, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007.
(The nation in history, 2000).
Conversi, D. (2014) Etnia contrapposta a Nazionalità?, Etnie https://www.rivistaetnie.com/etnia-nazionalita-cultura/  
Bonte, P. Izard, M. (1991) Dizionario di antropologia e etnologia. Einaudi, 2006