Fuori dai denti/ Eccolo il Pitocchetto, in una lettera

Eccolo il Pitocchetto, in una lettera
Giovanni Battista Piazzetta, Giovane Contadina, olio su tela, 1720 -1722

La pittura bergamasca, bresciana e il Pitocchetto

Caro Piero 1, ho visto: Lotto, Palma il vecchio, Cariani, Savoldo, Romanino, Morone, Moretto e poi ancora Fra Galgario, Piazzetta, e perché no, Baschenis, Bettera ecc. tutti operativi nei due secoli d’oro della pittura bergamasca e bresciana (che allora però era sotto Venezia).

Perché no il Ceruti? No, non il Gino di Gaber, che “lo chiamavan drago”; Ceruti Giacomo soprannominato il Pitocchetto (Milano 1698- 1767), quello di Miseria e Nobiltà. No, non la commedia del grande Eduardo napoletano, quella del Museo di S. Giulia nella Brescia Capitale della Cultura dell’anno del Signore 2023.

Perché no il Pitocchetto? A parte un paio di nature morte decenti della cucina bresciana (polenta e usei + graspa da raspi di Franciacorta filtrata nel cappello del montanaro, ah indelebile ricordo dell’amico ospite egregio negli anni ’60 / ‘61), si tratta di “fotografia”. della pura documentazione realistica della faccia di popolani e di signori. Sì, anche di quelle dei poveracci. Si occupa uno spazio un po’ negletto (ma l’idea non fu solo sua, è un po’ nell’aria spagnola-asburgo-veneta, e anche del grandissimo Velásquez) e si soddisfa una clientela con senso di colpa. E cosi il ritratto di chi ti dà del pitocco, perché non ce la fa a comprartelo, finisce nella sala da pranzo con camino fumante, insieme con la granseola appena arrivata da Venessia: Toh, l’è propio l’ciabatin, l’è lu!

La somiglianza non è facile a cogliersi! Allora perché no il Pitocchetto?

Perché l’arte non è solo mestiere, non imita la realtà, è invenzione. Per rendere la somiglianza poi di mestiere ne basta poco e ammesso e non concesso che ci sia, l’arte non è solo la toppa nel vestito, lo straccio, il cappello sfondato. La realtà, tutta la realtà è transeunte: una teoria di facce scomparse, nobili e poveracce. Cosa crei se imiti la realtà? L’arte è luce, tocco, sorpresa; va oltre la realtà. Al massimo, se ci riesce, consolazione per la morte. Qui casca l’asino, mentre il colore meravigliato nell’occhio di Fra Galgario è invenzione, aggiunta a qualcosa che non c’era, irrealtà. Perfino il parruccone in grigio matita del von austriaco (non mi ricordo più come si chiama) è luce autentica, sensibilità delicata dell’occhio del Piazzetta, lì nella stessa sala!

Un atto democratico, la mostra del Pitocchetto

Ma allora perché tanto casino, tanto rumore (“Un grandissimo pittore”: gli organizzatori) per questo produttore in serie di scatti fotografici su stracci ineccepibili? Ma è logico: è la democrazia! W il ritratto dei poveri migranti, quelli scampati alle carestie con la polenta delle americhe spagnole o ai naufragi nel Canale di Sicilia (7.3.23): mettiamoglieli in casa a sti borghesi arricchiti! Hai visto come siamo democratici?

Oggi come ieri e senza bisogno della cura suprema dell’atmosfera, alla Chardin, o più modesta, alla Baschenis (bergamasco con liuto cremonese). Oggi come ieri, perché anche oggi siamo furbi e sappiamo sfruttare le mode, le orde di piccoli schiavi della burrrocrazia (non è un lapsus) a caccia di patenti intellettuali, intruppati dietro le guide museali, biglietto 28 euri sonanti (14 Museo di Villa Giulia + 14 Martinengo) per un centinaio, dicasi almeno cento, fotografie ante litteram, come quelle dei telefonini odierni alla portata di cretini e cretine: è così bello apparire con la propria coiffure nel selfie davanti al Pitocchetto della Capitale della cultura!

Bah, che nausea, caro Piero! Perché ho scelto quel mestiere? Che nausea la realtà, i telefonini, le mostre di fotografia, la democrazia, il Pop. Sfoglio un contemporaneo del pitocco, niente popò di meno che Denis Diderot: “l’imagination ne crée rien, elle imite, pour créer il faut avoir de l’exprit critique” (1750 o giù di lì e Oscar Wilde 1880, citato da Carmelo Bene nel 2002). W la tabula rasa (3)

 1 Piero ½ Botta, che mi ha consigliato la mostra.

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