Prove di decisionismo antidemocratico

Su un tavolo di legno, di fronte ad una superficie riflettente sono disposte dodici bandierine. quelle riconoscibili sono -da sinsitra verso destra- Turchia, Germania, Grecia, Regno Unito, Polonia, Moldavia, Unione Europea e Romania

Che Victor Orban in Ungheria abbia approfittato della paura della pandemia, per assicurarsi il controllo quasi totale dello Stato, non dovrebbe stupirci. Il Parlamento continua a riunirsi come organo consultivo e il grande capo poi fa le sue scelte.

Dal monastero carmelitano in cui questo leader maximo ha deciso di fissare la sua residenza, non si sentono le flebili proteste della Von der Leyen. La presidente della Commissione Europea minaccia di prendere provvedimenti, senza precisare quali.

Polacchi, cechi e ungheresi, stretti nel patto di Visegrad, sanno bene che l’Unione ha ben altri problemi da risolvere in questo momento, fra Brexit, pandemia, profughi libici abbandonati in mare e siriani al confine turco – greco. Non parliamo poi di personaggi come Erdogan, Putin e Xi Jinping, dittatori a vita in Paesi che non hanno mai avuto grandi tradizioni democratiche.

Dovrebbe stupirci, invece, che in una delle patrie della democrazia, la Francia, il presidente Macron, dopo che i gilet gialli hanno messo a ferro e fuoco mezza Parigi, decide di far passare la sua riforma delle pensioni senza il voto parlamentare. Sì, è vero, la Costituzione voluta da De Gaulle per evitare pericolosi stalli legislativi prevede questa procedura all’articolo 49. Tuttavia, ciò dovrebbe accadere solo in casi eccezionali. Invece di eccezionale a Parigi c’è il fatto che i francesi non accettano tagli allo stato sociale, pensioni a 67 anni come in Italia e nuove tasse.

Democrazia in pericolo? Pensiamo di no, ma qualche volta le coincidenze inducono a pensar male. Per esempio, nel dicembre del 2019, a Londra, nell’altra patria della democrazia, il premier Johnson ha tentato di bloccare temporaneamente i lavori del Parlamento quando si dovevano prendere decisioni conclusive sulla Brexit.

Storicamente in una certa misura è comprensibile che in particolari momenti – come le guerre – le discussioni non siano lo strumento migliore per affrontare con tempestività i problemi. Ma il mondo occidentale non è in guerra. O forse lo è? Se lo è, dovremmo chiederci di che tipo di guerra si tratta. Potrebbe essere una guerra dei globalizzatori planetari contro chi vuole preservare la propria economia e la propria identità.

Potrebbe essere la guerra fra chi devasta il pianeta – e non si ferma neanche di fronte agli ammonimenti degli scienziati – contro chi tenta di salvare il salvabile. Oppure la guerra fra chi non accetta il divario assurdo e crescente fra ricchi e poveri e chi, invece, ne gode ampiamente?