Focus on/Claire Fredric, epifania d’estate

Focus on/Claire Fredric, epifania d’estate
Claire Fredric, Nel cuore di Rubens II, collage, cm. 35,5 x 50,5, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

Claire Fredric a Milano, mostra alla Fondazione Mudima

“Ma dove sono andati a finire i disegnatori?”, si chiedeva qualche anno fa Laurent Danchin (1). È vero che si pensava che fossero in via di estinzione, tanto la progressiva influenza dei nuovi media li aveva relegati in secondo piano o a uno status diverso. Sembrava che l’arte contemporanea, o qualsiasi cosa che più o meno copre questa etichetta, li avesse definitivamente sottomessi alle tecniche e alle pratiche del momento: fotografia, video, installazione di oggetti, performance corporea, multimedia, e così via.

Non è così, e oggi basta spingere la porta della Fondazione Mudima (che non ha bisogno di presentazioni e si rinnova permanentemente) per convincersene. Ci sono più di quaranta opere esposte, i cui autori sono tutt’altro che tutti italiani. La mostra ha riaperto i battenti, dopo la pausa estiva, ed è visitabile fino al 10 settembre. Prestigiosi gli artisti partecipanti e avvincenti le opere (2).

Il disegno, inizio di tutto

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Claire Fredric, Siam, disegno a matita, cm. 21 x 28,3, 2015 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

Il disegno, idea nuova del nostro tempo? Senza andare così avanti, l’incontro intorno alla carta in tutte le sue forme offerto dalla Fondazione Mudima è, al di là di molti azzardi, l’atteso proseguimento di un ritorno alle origini, che Davide di Maggio, il curatore della mostra, ha così saggiamente sintetizzato citando la freccia scoccata al bersaglio da Alberto Giacometti: “Il disegno è l’inizio di tutto. ”

Non si tratta quindi di vituperare contro la perdita del mondo di prima, anche se accade che il disegno si riduca ancora a un artificio o a uno spettacolo più o meno incongruo. Al contrario di questa corrente talvolta dominante, la mostra collettiva della Fondazione Mudima apre più di un’alzaia (Fausta Squatriti, Diamante Faraldo fra molti altri), e le tre opere di Claire Fredric da scoprire rivelano, di per sé, che sarebbe sbagliato profetizzare l’eclissi del disegno.

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Claire Fredric, Abbazia dei tre cuori, disegno a matita, cm. 21 x 29,7, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

Corrispondenze

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Claire Fredric, Corrispondenze – IV, disegno a matita, cm. 20,32 x 25,4, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

Claire Fredric ha avuto il buon gusto di stabilirsi a Milano, dopo lunghi anni trascorsi a New York e Bangkok, anche se queste deviazioni non l’hanno mai allontanata dalle sue profonde radici parigine. Ma allora, da dove vengono questi disegni esposti alla Fondazione Mudima? A prima vista, c’è una materialità del sorriso che la avvicinerebbe a influenze paradossali, tra l’ascissa delle sue esperienze di viaggio e l’ordinata della sua ispirazione.

A meglio guardare, c’è anche come un senso di famiglia nel suo lavoro, un rasserenamento che ci fa sentire a casa, in buona compagnia, e questo non è sorprendente per niente, dato che dalla nonna e dallo zio, pittori, fino alla madre e al fratello, entrambi disegnatori, Fredric ha ereditato fin dall’infanzia questa sensazione come di Heimat in mezzo a pennelli, tele e cavalletti.

Il saluto a Baudelaire

Questa strana amenità è dovuta anche ai suoi motivi, la cui chiave si trova nei titoli scelti: “Corrispondenze”. Il saluto di Fredric a Charles Baudelaire, di cui quest’anno si celebra il bicentenario, si basa sulla lettura che il poeta francese fa di Swedenborg nel suo sonetto, intitolato appunto “Correspondances” e tradotto in modo folgorante da Giovanni Raboni.

 

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Claire Fredric, Laggiù…Le meravigliose nuvole!, collage, cm. 35,5 x 50,5, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

Ricordiamo la prima strofa decisiva :  “È un tempio la Natura, dove a volte parole / escono confuse da viventi pilastri / e che l’uomo attraversa tra foreste di simboli / che gli lanciano occhiate familiari (3)”. Nell’opera di Fredric, questo scambio tra il naturale e lo spirituale è consegnato solo sullo sfondo e, con ogni disegno, la potenza di questo scambio ci invita a sognare, come nelle ore dell’infanzia quando ci perdevamo favolosamente nelle ambientazioni e nei personaggi delle carte da parati in toile de Jouy.

I disegni di Claire Fredric

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Claire Fredric, Tempesta, disegno a matita, cm. 21 x 29,7, 2020 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

In tutti i disegni di Fredric, l’immaginario esala in una nebulosa di aspirazioni di unione. Un intrico di elementi: onde, radici, fortezze. Confluenza di fonti: libro delle ore, schizzi degli esploratori, ammiccamenti. Gli alberi battono con le loro radici serpentine o con un cuore legato alla maniera celtica. Gli archi gotici con i loro ciuffi di foglie diventano una foresta. Uno scheletro gigante serve inutilmente da galleria per qualche krak dimenticato.

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Claire Fredric, Nodo, disegno a matita, cm. 21 x 17,4, 2008 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

I ponti si innalzano sul vuoto o sono scavati per scivolare giù come da toboggan. Le chiese delle nostre remote campagne o le pagode con i loro tetti ricurvi sono lì che aspettano. Ma nessuna rappresentazione umana: se la nostra presenza è desiderata, voluta, tutto è al riparo, in uno stato di lockdown, come conchiglie dagli oblò chiusi.

L’intemporale

Per Fredric, l’umanità è ridotta alle sue tracce. Tanti territori così lontani quanto irresistibilmente intimi perché crivellati di sguardi familiari, finestre o tombe accoglienti. Un dettaglio – una postierla, due grandi puntine che fissano il disegno, una scala risucchiata da un tronco, un ingresso nel bosco o nella roccia – disinnesca l’esotismo, neutralizza il pittoresco.

L’intemporale, si direbbe, non sa più a quale fissità dedicarsi. Si tesse un accordo segreto in cui ci si ritrova a sperare, nonostante tutto, perché uno scafo di noce tormentato dalla tempesta, la sua vela sproporzionata vertiginosamente arrotolata come un lenzuolo infuocato, su un fremito di trucioli marini ondeggianti, aggrovigliati e improvvisamente infranti, ecco il destino degli infedeli alla causa di Prospero.

Il tutto instabile

Promessa di ospitalità, i disegni di Fredric possono essere letti come un bell’oggi: il mare, favorevole agli esuli, l’oasi, i legami onnipresenti della natura da seguire. Certo, ma senza dimenticare che tutto è instabile: per esempio, il sito di Al-Ula sulla strada dell’incenso non è destinato a diventare un hotel di Jean Nouvel? Però Fredric non si preoccupa di ciò che non è del tutto liberatorio. Se la distruzione di Palmira la inorridisce, vuole inoltre far rivivere la nostra ammirazione per le incisioni del Pacifico di Charles Meryon, quell’amico di Baudelaire; o per i disegni della città romana sepolta di Timgad, rivelata nel Settecento da James Bruce.

L’unione di tutte le stagioni

Affreschi antichi, proto-scenari incuranti di rappresentare la realtà e tutti abitati dal mito, luoghi commentati nel Medioevo e più umanizzati con il Rinascimento, oggetti di contemplazione del divino: Fredric si ferma al punto in cui inizia il paesaggio propriamente detto, quando diventa uno sguardo inquadrato e il segno dell’impero della soggettività (4).

Sotto l’aspetto della semplicità, questo disegno di memoria e di emozione è ancorato, e la tenerezza del suo tratto redentore fa rivivere degli echi, i suoi luoghi vibrano ancora con gli esterni di Lorrain e Corot. Alla fine di questa estate, le corrispondenze di Claire Fredric sono un invito a riscoprire l’unione di tutte le stagioni, a porre fine alle fissioni della materia e all’oblio delle vite precedenti del disegno — in breve, tutta la vita.

Ritorno al 1839

Tale celebrazione non è un puro ritorno e, come per evitare qualsiasi equivoco sul significato più profondo del suo lavoro, Fredric aggiunge alle “corrispondenze” in mostra alla Fondazione Mudima un altro modo che, apparentemente, non ha nulla a che vedere con il mondo del suo disegno. Questa volta, nient’altro che colore, e del collage, ancora del collage e sempre del collage.

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Claire Fredric, Allegria II, collage, cm. 35,5 x 50,5, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

“Ogni innovazione annienta ciò che l’ha preceduta immediatamente, mentre recupera una forma più antica. ” Armata di questa verità di Marshall McLuhan, Fredric passa poi a considerare ciò che ha gradualmente cancellato l’importanza del disegno: la fotografia. Come sappiamo, la regressione del savoir-faire che il disegno ha rappresentato nel corso dei secoli e la rottura con questa pratica tradizionale e preliminare si sono accelerate con la diffusione della fotografia (5).

Di conseguenza, il legame ombelicale tra il disegno e la pittura sarebbe stato reciso, e questo patrimonio della civiltà agricola, ovvero il mestiere artigianale del disegno, avrebbe dovuto vivere all’ombra di una nuova tecnica, la prima tappa della conquista delle arti da parte dell’era industriale.

La svolta di  Daguerre e i collage di Claire Fredric

Come sa Fredric, il 1839 fu il punto di svolta di questo cambiamento, l’anno in cui la fotografia fu resa pubblica: il 9 gennaio, Arago presentò all’Accademia delle Scienze l’invenzione di Louis Daguerre, il primo processo capace di visualizzare e registrare un’immagine permanente.

Le prerogative del disegno rimarranno dunque le stesse: rappresentare ciò che è sempre stato rappresentato; quanto alla fotografia, si adatterà a un ritmo rapido e riporterà molto più spesso l’attualità. Perciò, questo rende piuttosto difficile immaginare un artista del secolo scorso e del nostro che concentri il suo disegno sulla rappresentazione dei loro grandi simboli tecnologici, come l’automobile o il televisore.

Come Claire Fredric si riappropria della realtà

Non c’è bisogno di scrivere la continuazione di questo noto divorzio. Con i suoi collages, Claire Fredric riapre la questione del divoramento della realtà da parte della fotografia. In pratica, parte dai clichés, oggi più che mai onnipresenti, e crea, a partire da frammenti selezionati, una sorta di nuovo puzzle antologico il cui oggetto non è più la composizione di un’immagine unica, un supporto di riconoscimento, ma l’istante di una deflagrazione, il rallentarsi di un fremito nato da scoppi associativi.

Qui, un tono cromatico ne richiama insormontabilmente un altro, senza alcuna restituzione identificabile.

Non si tratta di un’associazione arbitraria sul modello marinettiano dell’immaginazione senza fili (come il telegrafo), né è estremamente contraddittoria alla maniera di Reverdy o Dada. No, i collages di Fredric sono tutti frantumi incandescenti, frutto dall’eruzione invasiva della fotografia. Assente, il disegno lascia il posto a una pittura di carte incollate, a un assemblaggio convulso dove il volume si dispiega in un’illusione di scultura.

Gli abusi della fotobesità

Vetrata di luce fusa, questo arcipelago di nuove corrispondenze – tessuti, peonie, reti da pesca, parrocchetti e fumarole sulfuree che danzano un giro indiavolato – brilla con tutta la sua decantazione (poiché i viticoltori francesi parlano anche di “collage” quando fanno “brillare” il loro vino) che fiorisce, dopo aver sofferto tanto di tutti gli abusi della fotobesità.

Focus on/Claire Fredric, epifania d’estate
Claire Fredric, Allegria I, collage, cm. 35,5 x 50,5, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

Sovraesposta, satura di significato, solipsizzata all’eccesso, l’immagine-collage di Fredric è sul punto di implodere, e la sua nobiltà nucleare viene colta dall’occhio appena prima che si polverizzi, giusto il tempo di pensare di aver ritrovato un pezzo dell’abito blu di Ingres, due o tre petali gialli di Jane Peterson o di Giovanna Garzoni, o un accenno del topo grigio di Anna Maria Sibylla Merian. Tiepolo, Géricault, Rubens e Carl Van Loo strappano una seta, soffocano il fianco di una montagna e si abbandonano al respiro di una piuma di cigno?

L’immagine nella sua forma perduta

No, la rappresentazione affonda nel fuoco del non riconoscimento. Naufragata nella sua riproducibilità fotografica, ecco che l’immagine viene disincarnata, restituita alla sua forma perduta — l’indecifrabile. Niente più sotterfugi. Come altrettante illuminazioni, i collages di Fredric ridanno anima al corpo stesso dell’immagine pre-industriale e, nella nostra epoca di concorrenza mediatica spietata, concentrano le loro forze astringenti per suturare la ferita della devastazione del magma fotografico.

“Il lampo mi dura”, sembra ripetere ognuno di questi collages al modo di René Char (6). Dalla linea del disegno alla linea della luce, Fredric ci offre la sua epifania. Ritorna alla causa della perdizione e rassicura, ridando fede e vigore alla profezia di Chesterton : “Il mondo non morirà mai per mancanza di meraviglie, ma solo per mancanza di meraviglia.”

Focus on/Claire Fredric, epifania d’estate
Claire Fredric, Nel cuore di Rubens I, collage, cm. 35,5 x 50,5, 2021 (Riproduzione vietata, tutti i diritti riservati)

 

(1) “Mais où sont passés les dessinateurs?” [Ma dove sono andati a finire i disegnatori ?], in Laurent Danchin, Médiums et virtuoses. Le dessin à l’ère des nouveaux médias [Il disegno nell’era dei nuovi media], Parigi, lelivredart, 2009, pp. 62-72.

(2) Evidence of contemporay papers, mostra a cura di Davide Di Maggio, dal 1 luglio al 23 luglio e dal 1 settembre al 10 settembre 2021, lunedì-venerdì 11-13, 15-19, Fondazione Mudima, via Tadino 16, Milano, t. +39 02 29 40 96 33, info@mudima.net, www.mudima.net. Artisti esposti : Daniela Alfarano, Alessandro Bazan, Joseph Beuys, Jake&Dinos Chapman, Martin Dammann, Diamante Faraldo,Formento &Sossella, Claire Fredric, Bryson Gill, Dick Higgins, Oda Jaune, Milan Knizak, Yoko Ono, Andrea Salvino, Andrea Santarlasci, Markus Schinwald, Gianni Emilio Simonetti, Fausta Squatriti, Lee Ufan, Alessandro Verdi e Wolf Vostell.

(3) Charles Baudelaire, I fiori del male e altre poesie, traduzione di Giovanni Raboni, testo a fronte, Torino, Giulio Einaudi editore, 2014.

(4) Flavio Cuniberto, Il Vortice estetico. Elementi di estetica generale, Perugia, Morlacchi, 2015. In particolare,  “Il paesaggio dalla cosa all’immagine come processo di estetizzazione e soggettivizzazione del mondo. Le premesse cartesiane: il mondo emigra nel soggetto.”, pp. 59-73, e  “Un caso esemplare di estetizzazione: la nascita del paesaggio come metamorfosi del luogo sacro e come paesaggio-immagine”, pp. 75-110.

(5) Voir par exemple Philippe Rivière et Laurent Danchin, La métamorphose des médias. Sens et non-sens de l’art contemporain [La metamorfosi dei media. Senso e non senso dell’arte contemporanea], Paris, La Manufacture, 1989.

6) René Char, Poesie, tradotte da Giorgio Caproni, a cura di Elisa Donzelli, Torino, Giulio Einaudi editore, 2018, pp. 196-197.

 

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