Bourdaloue, e le prediche potevano essere lunghe – Bourdaloue, and the Sermons could be Long

Fotografia di un vaso da notte del 1600, foglia d'oro e decorazioni figurative in verde scuro.
Bourdaloue dorato, Francia, 18° secolo - Gilded Bourdaloue, French, 18th Century. The Hunt Museum, Limerick

La memoria, la memoria storica, gioca talvolta dei brutti tiri, davvero mancini, che sconcertano, che lasciano allibiti, tiri talvolta beffardi: e certo beffardo è il caso di Louis Bourdaloue, famosissimo predicatore gesuita del XVII secolo, meritatamente soprannominato “il re dei predicatori e il predicatore dei re”, del cui nome la memoria storica ha fatto scempio, legandolo indissolubilmente ad un oggetto veramente meschino, un oggetto indecente, che mai avrebbe dovuto essere accostato a tanta stimata e onorabile persona.

Originario di Bourges nel contado di Bery, figlio di un avvocato dal quale eredita buona favella, Louis Bourdaloue entra nella Compagnia di Gesù all’età di sedici anni e per i successivi diciotto si dedica agli studi, terminati i quali passa ad insegnare nei collegi dell’ordine, insegna retorica, filosofia, teologia speculativa e morale.

La domenica predica occasionalmente in diverse chiese del Bery, e il suo sermoneggiare non passa inascoltato, è forte, di grande effetto, scuote, affascina i fedeli. Desta inoltre l’interesse dei suoi superiori, che lo vogliono a Parigi, alla Casa Professa della Compagnia, alla chiesa di Saint-Paul-Saint-Louis, da poco inaugurata dal cardinale Richelieu e seconda per importanza e sontuosità solo a Notre-Dame. Da quest’autorevole pulpito la sua popolarità di predicatore dispiega le ali, dilaga in tutta la città, in tutta la Francia, tra i poveri come tra i ricchi, tra il gentil sesso (ammalia molte signore).

Già di prima mattina, in attesa del suo arrivo, tale è la ressa all’ingresso della chiesa, che si fatica ad entrare. Le nobildonne mandano il lacchè a tenere loro il posto, la marchesa di Sévigné lo adora, lo definisce il “Gran Pan” e gli scrive: “Ah! Bourdaloue! Quali divine verità ci avete dato oggi sulla morte! Madame de la Fayette che per la prima volta vi ascoltava è piena di ammirazione per voi; ella vi ricorda con gioia e vi abbraccia con tutto il suo cuore”. Persino un mangiapreti come Voltaire ha parole di elogio per lui, lo ritiene superiore all’altro grande predicatore gesuita, Jacques Bénigne Bossuet, sino ad allora ritenuto insuperabile maestro di eloquenza.

I suoi sermoni, caratterizzati dal rigore dottrinale, sono altresì vere e proprie lezioni di vita cristiana che egli, con accento ispirato, a occhi chiusi, profonde con tutto se stesso, per ore e ore. Instancabile, anche per cinque o sei ore tiene avvinti gli ascoltatori alle sue labbra, proiettandoli nel mondo di un Dio giusto e misericordioso. Severo se occorre, Sainte-Beuve lo definirà “il più giansenista dei gesuiti”.

All’apice della sua fama è più volte chiamato a predicare l’Avvento e la Quaresima alla presenza del re Sole e della sua corte a Versailles. Ma non si lascia abbagliare dal successo, dalla notorietà, non dimentica gli umili, i sofferenti, che conforta col suo eloquio negli ospedali di Parigi, nell’Hotel-Dieu, dove sono accatastati in condizioni spaventose.

Eppure, pare incredibile, a portare il suo nome non è un qualche tipo di predica, o un modo di gesticolare a lui proprio, e neanche qualcosa di peculiare legato alla sua attività pastorale. A portare il suo nome è un pitale, un volgarissimo oggetto di cui facevano uso le pie ascoltatrici. Esse, durante le lunghe prediche, non volendo perdere una sola delle sue ispirate parole e approfittando del fatto che allora non portavano biancheria intima e indossavano ampie gonne, quando erano prese dall’impellente bisogno, lo insinuavano discretamente sotto la gonna, rilasciavano il liquido e l’affidavano ad un servitore perché andasse a svuotarlo.

Proprio così, il “bourdaloue” è il piccolo vaso da notte femminile per lo più in ceramica, a base ovoidale allungata, nel quale urinavano le gran dame incapaci di staccarsi dalla voce dell’avvincente gesuita. Il suo uso si diffuse per tutto il Settecento nei teatri, ai concerti, a messa, in ogni occasione in cui risultasse disagevole alle signore e allontanarsi per espletare il “bisognino”.

Alcuni pregiati “bourdaloue” con tocco malizioso portavano dipinto sul fondo un occhio, accompagnato da un motto salace a commento di ciò che l’occhio indiscreto e malandrino vedeva.

Bourdaloue, che sempre condusse vita irreprensibile, non meritava quest’affronto! Il suo occhio, c’è da giurarci, mai vide simili sconcezze, piuttosto se lo sarebbe cavato, l’occhio, seguendo il dettame dell’Evangelista Marco (9, 47-48): “Se il tuo occhio ti fa commettere il male, strappalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, piuttosto che avere due occhi ed essere gettato nell’inferno, dove si soffre sempre e il fuoco non finisce mai”.

Da ciò si potrebbe anche arguire che all’inferno i dannati hanno entrambi gli occhi, mentre in paradiso molti beati possiamo immaginarli deambulare tra le nuvole con uno solo. C’è da supporre, poi, che alcuni siano completamente ciechi.

Povero sfortunato Louis Bourdaloue, probabilmente non fu mai beatificato, chissà forse per evitare facili e grossolane ironie su un “santo vaso da notte”.


 

Bourdaloue, and the Sermons could be Long

Memory, historical memory, sometimes plays bad tricks, really left-handed, that baffle, that leaves you stunned, sometimes mocking tricks. Certainly mocking is the case of Louis Bourdaloue, the very famous 17th century Jesuit preacher, deservedly nicknamed “The king of preachers and the preacher of kings”, whose name historical memory has made havoc, indissolubly tying it to a truly mean object, an indecent object, who should never have been associated with such an esteemed and honourable person.

Originally from Bourges in the Bery district, son of a lawyer from which he inherits a good name, Louis Bourdaloue entered in the Society of Jesus at the age of sixteen and for the next eighteen he devoted himself to studies, after which he went on to teach in the colleges of the order, teaching rhetoric, philosophy, speculative and moral theology.

On Sundays he occasionally preached in various churches in the Bery, and his sermons did not go unheard. They were strong, with great effect, it shook, fascinated the faithful. It also aroused the interest of his superiors, who wanted him in Paris, at the Company’s Professed House, at the Saint-Paul-Saint-Louis church, recently inaugurated by Cardinal Richelieu and second in importance and sumptuousness only to Notre-Dame. From this authoritative pulpit, his popularity as a preacher spread its wings, spread throughout the city, in all of France, from the poor to the rich, among the fair sex (bewitched many ladies).

Already early in the morning, waiting for his arrival, such was the crowd at the entrance that it was difficult to enter. The noblewomen sent their lackey to hold their place, the Marquise de Sévigné adored him, calling him the “Gran Pan” and wrote to him: “Ah! Bourdaloue! What divine truths have you given us today about death! Madame de la Fayette who was listening to you for the first time is full of admiration for you; she remembers you with joy and embraces you with all her heart.” Even a prize-eater like Voltaire had words of praise for him, he considered him superior to the other great Jesuit preacher, Jacques Bénigne Bossuet, who, until then, was considered unsurpassed master of eloquence.

His sermons, characterized by doctrinal rigor, were also of real lessons of Christian life that he, with an inspired accent, closed eyes, deep with all of himself, for hours on end. Tireless, even for five or six hours he kept the listeners glued to his lips, projecting them into the world of a just and merciful God. Sainte-Beuve defined him as “the most Jansenist of the Jesuits”.

At the height of his fame, he was repeatedly called to preach at Advent and Lent presence of the Sun King and his court in Versailles. But he was not dazzled by success, by notoriety, did not forget the humble, the suffering, who comforted with his eloquence in the hospitals of Paris, in the Hotel-Dieu, where they were piled up in appalling conditions.

Nevertheless, it seems incredible, it is not some kind of sermon that bears his name, or a way of gesturing his own, and not even something peculiar related to his pastoral activity. To bear his name is a chamber pot, a very vulgar object used by pious listeners. They, during the long sermons, did want to miss one word of his inspirational words and taking advantage of the fact that they did not wear underwear back then, and wore full skirts, when they were taken by an urgent need, they slipped it discreetly under their skirt, they released the liquid and entrusted it to a servant to go and empty it.

For this reason, the “bourdaloue” is a small female chamber pot mostly in ceramic, with an elongated ovoid base, in which the great ladies urinated unable to detach themselves from the voice of the captivating Jesuit. It’s use spread throughout the eighteenth century in theatres, concerts, mass, in any occasion in which it would be uncomfortable for the ladies and go away to carry out the “need”.

Some precious “bourdaloue” with a mischievous touch had an eye painted on the bottom, accompanied by a salacious motto commenting on what the prying and marauding eye saw.

Bourdaloue, who always led an irreproachable life, did not deserve this insult! His eye, it is to be sworn, never saw such filth, rather, he would have gotten away with it, the eye, following the dictates of the Evangelist Mark (9, 47-48) “If your eye makes you commit sin, tear it out: it is better for you to enter the kingdom of God with one eye, rather than having two eyes and being thrown into hell, where you always suffer and the fire never ends”.

From this it could also be argued that in hell the damned have both eyes, while in heaven we can imagine many blessed people walking in the clouds with only one. It is to be assumed, then, that some are completely blind.

Poor unfortunate Louis Bourdaloue, he will probably never be beatified, who knows maybe to avoid easy and gross ironies about a “holy night vase”.