Berlino, fine dell’eccezionalità

Berlino, fine dell’eccezionalità
Foto di Thomas Ulrich da Pixabay

Berlino in caduta libera

Mercati saturi, processi di aggiustamento difficili e faticosi. L’aria che soffia su Berlino è molto simile a quella del Duemila, quando il cancelliere Gerhard Schroeder rapido indicò la svolta economica di quella Germania uscita esausta dalla riunificazione che con disprezzo veniva chiamata il malato d’Europa.

Il cambio di rotta poggiava su due punti, la compressione del costo del lavoro d’accordo con sindacati e imprese e soprattutto la valorizzazione di nuovi mercati. Dietro la porta si stava preparando il boom dell’economia cinese che per vent’anni insieme a quella russa hanno fatto volare l’economia tedesca.

Dopo l’unificazione, la stella Berlino

La ricetta, ridotta all’osso, poggiava su due elementi deflazione salariale e Cina. La Berlino del dopo unificazione godeva di una straordinaria forza attrattiva. La scena musicale e quella della vita notturna sono state dei punti di forza.  Per tutti gli anni Novanta la scena dell’Arte Contemporanea Berlinese era calda e densa di novità. Gli artisti nati e cresciuti nella DDR, capitanati da Neo Rauch, avevano conquistato la scena della nuova Germania nata dall’unificazione.

Ora Berlino ha tanti musei e molte Fondazioni private e aziendali con una sovrabbondanza di curatori e critici, ma pochi o pochissimi artisti e movimenti artistici. Berlino ha visto una crescita esponenziale della popolazione studentesca e del turismo. Diventata capitale della Germania ha raccolto molti frutti ma è stata lentamente sedata dal lungo cancellierato di Angela Merkel.

La strada percorsa negli ultimi vent’anni ha sfruttato con abilità le intuizioni di Schroeder che per la loro rudezza gli avevano fatto perdere le elezioni. Angela Merkel ha presentato ogni aggiustamento di rotta come se non ci fossero altra soluzione se non quelle da lei proposte. In tedesco Alternativlos o in inglese TINA “There is no alternative”.

Errori e sottovalutazioni

Ma qualcosa non ha funzionato. Gli industriali hanno continuato a dire non abbiamo i computer, siamo fuori dall’economia digitale ma siamo i re dell’automobile. Ora con l’auto elettrica cinese che bussa alla porta le certezze sono crollate e la sensazione di aver perso la gara del rinnovamento industriale è diventata una certezza. I primi passi per indicare dove incamminarsi, in futuro, sono stati infelici in Germania.

I Verdi sono andati al governo volendo trasformare la Germania nella economia guida mondiale nelle tecnologie verdi. Il primo risultato è stata la diffidenza di Macron e un incrinamento dell’asse franco tedesco, poichè la Francia ha coltivato l’energia nucleare. L’agenda politica dei Verdi tedeschi era, ed è, molto ideologica e poco pratica. Il cancelliere Scholz non ha la statura e il decisionismo di Gerhard Schroeder.

Iniziare dalle abitazioni, per far diventare la Germania il campione dell’economia verde, ha impaurito i comuni cittadini. Tutti hanno pensato che fosse ingiusto presentare loro il conto. Sarebbe stato preferibile politicamente incominciare dalle riduzioni del CO2 delle navi, degli aerei o industrie piuttosto che dai sistemi di riscaldamento domestico.

Un passo infelice che ha fatto salire AFD al 20%. Alle elezioni amministrative è stato eletto come sindaco Kai Wegner appartenente alla CDU/CSU. Finisce l’eccezionalità di Berlino.

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