Art Déco, cent’anni dopo

Art Déco, cent'anni dopo
Opera di Giò Ponti

Una mostra tanto interessante quanto curiosa ha recentemente aperto i battenti a Palazzo Reale a Milano dedicata all’Art Déco (fino al 29 giugno). Trattandosi di un argomento molto vasto, il curatore, Valerio Terraroli, ha scelto un punto di vista originale e tutt’altro che esaustivo. Sebbene la Francia fosse indiscutibilmente la nazione leader nella creazione di questo stile, si è preferito pensare all’Italia per evidenziarne le caratteristiche principali.

Le premesse negli anni Dieci del Novecento

Le premesse di questa rivoluzione stilistica erano già state formulate negli anni ’10, e alcuni considerano il Wiener Werkstate il suo precursore. Tuttavia, è necessaria una data: 1925. Questo è l’anno in cui si svolge a Parigi l’Esposizione Universale delle Arti Decorative e Industriali. Quell’anno, del passato, gli artisti fecero tabula rasa. E in modo radicale: era la fine delle linee sinuose e sensuali dell’Art Nouveau, con questa sublimazione della natura e di queste donne dalle curve desiderabili. Va notato che la pittura non ha seguito la stessa traiettoria delle arti applicate e che le sue molteplici metamorfosi sono avvenute già prima della guerra mondiale.

L’Art Déco è la fine della società descritta da Marcel Proust contemporaneamente alla fine delle avanguardie (cubismo, fauvismo, futurismo, rayonismo, anche se lo spirito di alcuni di questi movimenti è stato perpetuato). E giunto il momento di un’apertura molto marcata del campo delle possibilità, in cui ogni artista segue un percorso molto diverso (basti pensare a Modigliani, Soutine o Vlaminck)).

La pittrice probabilmente più rappresentativa di questa nuova tendenza è Tamara de Lempicka. All’interno di questa mostra, scopriamo composizioni di Gallileo Chini (L’Allégorie du printemps, 1912-1913) o di Louis-Léon-Eugène Billotey. Nel campo della scultura, l’opera di Attilo Selva rappresenta un passo interessante in questa direzione.

L’anno di riferimento: il 1925

La mostra che si svolse a Monza nel 1925 dimostrò che l’Italia non era dietro a questa ondata di proteste che stava prendendo piede in tutta Europa. I dipinti di Attilo Gambelotti e i mobili di Vittorio Zecchio ne sono la prova. Sta già emergendo la figura di uno dei più grandi creatori nel campo della ceramica: Gio Ponti. È riuscito a conciliare forme molto raffinate e un’estrema diversità di disegni sui suoi vasi, piatti e tazze. A Parigi ha vinto un primo premio, in particolare per i suoi vasi con coperchio. Quanto a Ettore Zaccari, si distingue per l’originalità dei suoi mobili. Da parte sua, Vittorio Zecchin coniuga la semplicità della forma, la monografia e l’assenza di figure o decorazioni. Il suo vetro soffiato è una meraviglia di purezza stilistica e finezza riducendo la sua sfera cromatica.

Art Déco in Francia

In Francia, Roger Silvaut, Caille Fauré, gli artisti che hanno optato per questo nuovo registro sono innumerevoli: Léon-Charles Peluche e Charles Villon, Louis-Maurice Bocquet, Dagobert Perche, per citarne solo alcuni, hanno disegnato oggetti che sono l’espressione di questa tendenza. Se ci rivolgiamo all’illustrazione, dobbiamo poi celebrare Erté (Romain de Yirtoff) o Maurice Picaud (detto Pico). Per quanto riguarda l’arredamento, dobbiamo prendere in considerazione Rebné Joubert e Paul Petit, Jules Leleu.

I temi preferiti agli autori dell’Art Déco

Ma il curatore della mostra non ha cercato di mettere in evidenza la maggior parte degli autori e si è invece concentrato sui grandi temi che essi prediligevano, come l’esotismo, come vediamo nel lavoro di Pierre-Paul Jouve o Roberto Rosati, Alfredo Biagini, Pierre d’Avesn o Pietro Melandri. Un’intera sezione è riservata al Vittoriale degli italiani in Prioria, dove Gabriele d’Annunzio aveva riunito una collezione che di solito aveva solo il suo gusto, con sculture di Alexander Kéléty e Pierre Le Faguays.

L’esotismo era allora molto in voga e troviamo un magnifico disegnatore come Paul Colin e le sculture più singolari di Francesco Nonni e Anselmo Bucci (Corteo Orientale del 1925) o Demetre Chiparus, Sandro Vacchetti. La linearità formale e la semplificazione del corpo umano o animale non toglie nulla alla fantasia e nemmeno alla stranezza del soggetto. I miti sono affrontati anche da Anne Carlu nel suo Diana la cacciatrice (1927). E l’antichità è tutt’altro che esclusa, come dimostrano i tanti vasi e piatti di Gio Ponti

Una mostra senza i grandi dell’Art Déco

Anche se i più grandi nomi dell’Art Déco non sono presenti (scarsa la presenza) questo catalogo ci permette di capire che l’Art Déco non aveva un unico scopo, anzi. Le sue regole fondanti non hanno impedito l’incredibile varietà di immaginazione che ha instaurato fino all’inizio dell’ultima guerra. Da non perdere in nessun caso.

Art Deco, il triompo della modernità, a cura di Valerio Terraroli, Palazzo Reale, Milano, 24 Ore Cultura, 36 euro.