Ricordo di Vittorio Gregotti. Pensieri inediti sul tema dell’identità

disegno architettonico bianco e nero con acquerello giallo paglierino e verde chairo, progetto di Vittorio Gregotti, visione a volo d'uccello di complesso sportivo con stadi e campi da gioco
Vittorio Gregotti, "L'architettura nella globalità", in «Abitacolo», IV, 7

Vittorio Gregotti, ricordo e pensieri inediti. Scompare uno dei grandi protagonisti dell’architettura del Novecento, critico e acuto polemista, saggista e intellettuale. Tanti i progetti e realizzazioni di Vittorio Gregotti a livello internazionale. Ci lascia all’età di 92 anni, dopo tante battaglie che lo hanno visto in prima linea.

Lo avevo sentito l’estate scorsa, per concordare il suo contributo alla rivista Abitacolo/Forme e Linguaggi del contemporaneo, sul tema dell’Identità in rapporto alla complessità della contemporaneità. Un tema a lui molto caro e già per molti versi indagato in pregevoli pubblicazioni. E così mi giunse un saggio illuminante su L’Identità dell’architettura italiana accompagnato da un disegno dal titolo Persone, del 1981, a matita, fortemente simbolico “di contesto” per autoidentificarsi.

“La parola identità – scrisse Gregotti in quel saggio (apparirà sul prossimo numero di Abitacolo) – ha per un architetto due significati. Il primo è quello che riguarda la specificità della nostra disciplina rispetto ad altre arti, della sua storia, delle necessità di verità nei confronti della realtà in cui essa agisce criticamente e dello stato specifico e dei suoi mutamenti possibili e necessari. La seconda riguarda il soggetto (o l’insieme dei soggetti) che, con la costruzione di un’opera o del suo progetto, offre una particolare risposta alla mutazione dello stato delle cose della nostra disciplina capace di offrire ai mutamenti della realtà proposte di un frammento di verità necessaria allo stato del presente ed al suo futuro per mezzo della nostra disciplina, e di proporre con il suo agire una testimonianza delle possibilità praticate o rifiutate dallo stato di una società”.

 

copertina della rivista Abitacolo numero 1 anno 2013, sfondo giallo, 4 disegni di orologi da tasca, di cui 3 bianco e nero 1 colorato in rosso

Vittorio Gregotti non ha mancato di toccare il rapporto tra architettura e globalizzazione che affida a un quesito: “Che cosa ha decretato oggi la fine o meglio la trasformazione di quell’internazionalismo in globalismo come colonialismo e auto-colonialismo dell’omogeneità di valori e comportamenti e rinuncia alla ricchezza della differenza?
E in questo quadro cosa fa l’architettura italiana?

“A tutto questo anche l’architettura italiana tende ad adeguarsi fatalmente con la perdita delle specificità della propria cultura – sottolinea Gregotti – ciò che oggi sembra mancare all’architettura è una nuova forma di globalismo critico, fondato sul riconoscimento delle diversità delle culture e delle antropogeografie come fondamento non eliminabile dell’identità di ciascun luogo urbano o territoriale, e come misura delle condizioni e speranze di ogni gruppo sociale, dei suoi linguaggi, e della sua storia, come materiali dialettici ma essenziali del progetto e come capacità dell’architettura di proporre una verità possibile e necessaria a una globalità più aperta libera e giusta.
E forse questa messa in discussione – conclude Vittorio Gregotti – potrebbe essere la ricerca di una nuova possibilità di contributo proprio dell’identità della cultura degli architetti italiani”.