Vittorio Franceschi fa il Domatore

Vittorio Franceschi fa il Domatore
Foto di Andrea Morgillo, courtesy Teatro Franco Parenti

Vittorio Franceschi è attore, autore, regista. Come si usa dire, la sua fama lo precede e il suo talento è noto ai frequentatori dei teatri. Calca le scene italiane e straniere fin dagli anni Sessanta, quando i suoi testi furono rappresentati al Teatro Gerolamo. Inoltre, nel capoluogo lombardo partecipa alla fondazione dell’Associazione Nuova Scena, per la quale sono impiegati suoi testi alternativi con chiari contenuti politici.

Quale autore di testi si ricordano “Scacco Pazzo” (regia di Nanni Loy, in tournée in vari teatri italiani e stranieri) e “L’uomo che mangiava i coriandoli”, regia di Axel Richter, rappresentata al Südthüringisches Staatstheater “Meininger Theater di Meiningen.

Nella stagione 1983/84 è attore presso la Comédie de Genève per “Il delirio dell’oste Bassà” di Rosso di San Secondo e per “L’oiseau vert” di Benno Besson da Gozzi, con le maschere di Werner Strub, regia di Benno Besson). Ha dato il suo contributo di attore per lavori diretti da Marco Sciaccaluga, Glauco Mauri, Luca Ronconi, Massimo Castri, Sandro Bolchi, Luciano Damiani, Piero Maccarinelli, Mario Missiroli, Vito Molinari, Aldo Trionfo.

L’ultimo testo di Vittorio Franceschi, “Il Domatore”, è un dramma sotteso da una comicità apparente, un’opera dolce-amara che si copre di realismo.

Una giovane giornalista, interpretata dalla brava Chiara Degani, è incaricata di raccogliere la testimonianza di Cadabra (lo stesso Franceschi), l’ultimo domatore di leoni e tigri, all’indomani della legge che vieta l’utilizzo di animali nei circhi. L’incontro avviene sotto un capannone in via di dismissione. C’è aria di decadenza mista a solitudine che il domatore, con la sua giacca rossa e oro, cela con dignitoso orgoglio. È l’orgoglio di chi appartiene a una generazione di uomini che ammaestrano le belve: tigri e leoni che portano gli stravaganti nomi di grandi battaglie. Ad esempio Solferino, l’unico leone sopravvissuto.

Il rapporto fra la donna e l’uomo è difficile sin dall’inizio e a nulla serve l’ironia. Anzi, si coglie immediatamente che l’uomo è il domatore, colui che sottomette e manipola. Le parole che lui le porge con gentilezza sono lo strumento subdolo e mistificatorio con il quale raggiungere il suo obiettivo: soggiogarla e, perché no, sedurla.

Le cose non vanno come l’uomo crede e la giovane donna, in un’audace inversione di ruoli, si trasforma nella domatrice a cui lui deve sottostare. Le verità affiorano a poco a poco, mentre il domatore capisce di essere giunto al traguardo senza avere vinto.

La regia è accorta, mai dissonante rispetto al testo. Le luci creano le corrette atmosfere, in linea con la scrittura.

Come accade per le fiabe, il testo di Franceschi sottintende una sorta di morale. Essere un domatore significa usare con destrezza le mezze verità, le mezze bugie e il trucco nel gioco, il tutto ai fini della sopravvivenza.

Un piccolo gioiello del teatro, in equilibrio tra realtà e magia, nel quale il magnifico Vittorio Franceschi è un Domatore le cui fragilità sono facilmente svelate da un’acuta donna.

Il Domatore  di Vittorio Franceschi
con Vittorio Franceschi e Chiara Degani
musica, sound design Guido Sodo
light design Luca Bronzo
scena, costumi e regia Matteo Soltanto

produzione Fondazione Teatro Due Parma / CTB Centro Teatrale Bresciano

Premio Le Maschere del Teatro Italiano 2022 come Migliore Novità
Premio Nazionale Franco Enriquez 2023

Teatro Franco Parenti, fino al 17 giugno 2023

Dello stesso autore: “Eleusi” e il sacro, il dittico di Davide Enia

 

Foto di Andrea Morgillo, courtesy Teatro Franco Parenti