Vitaldix, le maschere performative di Dioniso

fotografia, colori, performance artistica di Vitaldo Conte, 3 donne e 1 uomo vestiti di bianco con volto mascherato, antica tradizione del tatro di Dioniso

L’appassionato Vitaldo Conte, nelle vesti di Vitaldix (suo avatar di eventi performativi), è sospinto dalle sue pulsioni di scritture d’amore trobadoriche, che riveste del suo simbolico bianco d’arte. La performance evocativa, che parte dalle sonorità futuriste per rompere con gli schemi del canto poetico e del sentire estetico formalizzato, vuole tradursi in un racconto linguistico.

Questo è organizzato con messaggi energetici rituali. Non a caso l’azione performativa ha come scopo di trasmettere messaggi attraverso gesti e sonorità che vogliono evocare una danza rituale dove l’azione prevale sul segno e sulla parola. Il fine è quello di riportare alla luce le forme iniziatiche delle origini, come un Vitaldo Conte Dioniso moderno. Vitaldix mostra, in pieno spirito nietzschiano e della psicoanalisi di Hillman, che si può tracciare un percorso costruito da evocazioni senza ricorrere alle parole e ai segni.

L’uomo senza forma è l’artista, o l’uomo di cultura, che può accogliere l’esperienza di tante identità nelle sue letture e interpretazioni della vita, da più punti di vista e secondo più modelli d’identificazione di sé. Nell’artista, nell’uomo di cultura, ma anche in semplici persone sensibili, l’emergere delle origini contenute nel messaggio dionisiaco, del Dio Pan danzatore, rimangono come “rumore di fondo”.

Questo rumore riporta ad un’origine ed è un contatto ripristinato che non può più essere abbandonato. Il rituale evocativo della performance ne è la testimonianza. E non importa che l’uomo viva in questa continua alternanza di perdita della forma e di presenza d’identità da cui Nietzsche rilevò “la nascita della tragedia“ dell’umanità. Tutto è mascheramento, assunzione di un’identità e poi di un’altra, e poi di un’altra… per quanti sono i momenti del rappresentare pensieri (o dedicarsi ad azioni) in un giorno della nostra esistenza.

E non importa neanche più chiedersi se il simbolico assuma il segno del bianco della festa di un matrimonio, di una unione come in occidente, o se il segno del bianco sia indossato come evento luttuoso, evocativo di una separazione sopraggiunta, come in oriente. In questo mondo si danza sempre tra ebbrezza e identità, e la danza rituale finisce quando si è esaurita la propria energia.

Solo allora il dramma [dal greco dran, azione], comico o tragico che sia, si chiude come rituale; e con esso ha fine anche la propria funzione simbolica attiva della mente per trasferirsi, dopo il teatro, in ogni rappresentazione della vita. In quel momento di ebbrezza dionisiaca, quando si è posseduti dal Dio della danza, si raggiunge il culmine e si comprende il significato delle nostre esperienze quotidiane; ma allora non si distingue più se i personaggi sono reali o maschere del pensiero.

L’azione del rituale della performance, attraverso l’evocazione di Dioniso, entra prepotentemente nella vita e si palesa come un’attività in cui si esercita un ricordo che rende presente un’esperienza senza la forma, e che agirà sempre in noi. Essa (azione rituale) raccorda la rappresentazione del pensiero alla vita reale, e rende più lievi i significati delle forme e delle azioni.

Chi vive per l’arte del racconto non fa differenze: narra e danza continuamente con i suoi personaggi, ma anche con le sue maschere senza identità proprio come fa Vitaldix, sorte di Vitaldo Conte Dioniso.