La “piccola” notte di Milano

elaborazione grafica di Ben Bestetti, duomo di Milano bianco su cielo azzurro, in primo piano scritta: spazio Milano
logo di Ben Bestetti

Il Borgomastro di Berlino ha sempre contato moltissimo sulla vita notturna. Quando gli chiesero se si ispirava ai fasti dei locali della Repubblica di Weimar degli anni Venti, lui rispose: «sì certo ma anche alla Milano degli anni Ottanta». Il bilancio della Berlino degli anni Novanta era disastroso, fortemente condizionato dalle ristrettezze dovute sia alle conseguenze finanziarie dell’unificazione sia al diffuso sospetto di irresponsabilità dei nuovi amministratori nei confronti delle vecchie classi dirigenti. La città poteva contare su poche entrate sicure, fra cui il flusso di denaro che assicuravano diversi locali notturni di fama mondiale, con la loro immutata attrattiva e popolarità. I sindaci di Milano – in successione Albertini, Moratti, Pisapia, Sala – sul tema non si sono mai impegnati. Al momento Milano dispone di ben pochi locali di media qualità, innanzitutto quelli di corso Como, l’Hollywood, il Casablanca e il Tocqueville. Più distanti l’Alcatraz e il Rolling Stone. Caso a sé sono Assago Forum e Carroponte. Infinite le birrerie, wine bar, zone di movida segmentate per attitudini o autoidentificazioni culturali, e karaoke bar molto categoria D+D (Disneyland + disco). La differenza con gli anni Ottanta non sta solo nel numero dei locali, che pure è significativa, ma anche nelle piste da ballo, ormai quasi scomparse, una volta frequentate da personaggi che trainavano il divertimento. Evaporato o quasi è anche il Night Club classico. Il confronto con la movida attuale di altre metropoli ci restituisce una forma di intrattenimento vagamente introspettiva e malinconica rispetto alle performance, anche fisiche, necessarie nei locali da ballo liscio e nelle balere.

La Milano dei nuovi anni Venti non dispone di leader simili a quelli che animavano la Milano anni Ottanta, dove la moda, il design, l’editoria, l’arte mettevano in campo protagonisti di assoluto rilievo. Era una nuova generazione avida di divertimento e presenzialismo. Qualche nome? Versace e Armani, Sottsass. Bisogna sottolineare che c’era una diversa disponibilità e, soprattutto, uno schieramento molto innovativo di settori economici profondamente connessi con un’offerta culturale insolita per il paese. Quando nuovi settori decollano, inevitabilmente si portano dietro un’extra dose di energie. Vogue Italia ne fu un esempio. Dietro c’erano gli anni Settanta con la loro guerra civile non dichiarata che tutti volevano dimenticare. Ma un sindaco deve occuparsi anche di una buona offerta di vita notturna nella città da lui amministrata? Il borgomastro di Berlino Klaus Wowereit ha risposto che sì, è ragionevole. 

D’altra parte il recente «piano delle attività religiose», approvato dal Comune e originato dalla molteplicità di fedi e confessioni che hanno preso dimora a Milano, indica un allargamento di ottica e di competenze che solo pochi anni fa sarebbe stato impossibile. Al momento Milano è una città che coltiva un sogno  iperproduttivistico, con una giornata lavorativa smisurata e una notte ridotta ai minimi termini. La situazione non può reggere, perché nel frattempo, grazie al settore dell’Education, la popolazione giovanile è aumentata. Ad esempio, 200 mila gli studenti universitari, anche se per loro il Teatro alla Scala, malgrado il suo richiamo internazionale, e forse per essere considerato alle élites milanesi, non costituisce un appeal. Un’indagine comparativa tra le città italiane dice che esse sono diventate luoghi con una «notte corta», mentre le aree metropolitane esterne e il continuum urbano lungo le strade statali che le collegano sono diventate luoghi della «notte  lunga». Con così tanta popolazione giovane il Comune di di Milano deve prendere qualche decisione.