Il termine inglese decoupling, che letteralmente significa disaccoppiamento, è entrato prepotentemente nel nostro vocabolario da quando si discute sempre di più di sviluppo sostenibile. Si era sempre dato per scontato che la crescita del Pil, e quindi dei consumi, in tutti i Paesi del mondo, fosse il miglior indicatore dell’incremento del benessere. Ma per far crescere il Pil occorrono quantità sempre maggiori di energia e, per il momento, la maggior parte dell’energia prodotta nel mondo è nociva per l’ambiente planetario.
Per salvare il pianeta bisognerebbe fare decoupling e quindi “disaccoppiare” la crescita dall’uso delle fonti tradizionali di energia. È possibile? I risultati delle ricerche di numerose università e istituti scientifici sono sconfortanti. L’European Environmental Bureau, in un report del luglio 2019 dimostra l’illusorietà della cosiddetta «crescita verde» secondo la quale per salvare l’ambiente sarebbe sufficiente razionalizzare la produzione senza toccare il progredire dei consumi.
Fra i tanti dati che il report ci fornisce ne scegliamo alcuni che ci sembrano più significativi. Omettendo complessi calcoli matematici, si assume come obiettivo quello di contenere il riscaldamento globale entro il 2040 di 1,5°C. Per il momento possiamo solo constatare, fra il 1900 e il 2015, una ininterrotta curva ascendente dell’uso di energia di origine fossile. Ma ancora più scoraggiante è il fatto che negli ultimi 40 anni l’uso di risorse fossili è triplicato.
Fra i Paesi analizzati, la Danimarca sembra essere stato il più virtuoso, avendo ridotto fra il 2002 e il 2014 il 30% delle emissioni, cioè il 2,5% annuo. Per quanto il risultato appaia impressionante, a fronte dell’1,15% medio di 21 Paesi della Ue, esso costituisce appena la metà di quanto richiederebbe l’ipotetico disaccoppiamento. Ma non basta. I calcoli fatti escludono, ad esempio, le emissioni generate dal trasporto aereo che, a partire dal 2000, sono aumentate del 5% e si prevede cresceranno del 45% entro il 2035.
A dicembre 2019, la Cop25 di Madrid, il vertice Onu sul clima, è stata considerata un fallimento: nessun Paese partecipante ha assunto impegni che fossero in linea con gli obiettivi prefissati. Tantomeno a proposito del decoupling tra parametri di crescita economica e consumo di risorse. L’indignazione degli ambientalisti è comprensibile. Eppure non va considerato negativamente l’emergere dei termini reali della difficilissima impresa costituita dalla salvezza del pianeta.