Un luogo prezioso, la Fondazione Piccolo a Capo d’Orlando

Un luogo prezioso, la Fondazione Piccolo a Capo d'Orlando
Il Barone Lucio Carlo Francesco Piccolo di Calanovella, poeta, esoterista e musicologo italiano

Non è una villa, né sontuosa né regale, ma più semplicemente una grande casa al centro di una tenuta agricola in località Vina, del comune di Capo d’Orlando, su un poggio che guarda il mare. La dimensione e la posizione segnalano le nobili origini dei possidenti: proprietari terrieri per parte del padre Giuseppe Piccolo Barone di Calanovella, ed addirittura regali, dato che uno dei nonni fu l’ultimo viceré di Sicilia, per parte della madre donna Teresa Tosca Filangeri di Cutò. Una grande e composita famiglia che prima e dopo le guerre risorgimentali era e sarebbe rimasta tra le più importanti e influenti dell’isola.

La prima cosa che stupisce è che durante l’ultimo conflitto mondiale, pur essendo stata sfiorata, sia rimasta e fortunatamente quasi inviolata, malgrado la distanza del tutto irrilevante dalla statale 113 che collega Messina a Palermo e che naturalmente passa da Capo d’Orlando. Dalla statale meno di duecento metri di strada privata in salita ci dividono dalla grande casa, che oggi possiamo, se vogliamo, tutti visitarla.

L’eleganza della sobrietà

Ci accoglie una giovane guida, sono in compagnia del mio amico Nino Sottile che tanto ha insistito per fare questa visita. Il fabbricato che non ha nella sua semplicità un grande valore architettonico, si sviluppa su tre livelli. Sul fronte che guarda il mare c’è un terrazzo articolato su diversi piani da cui si può godere lo spettacolo straordinario delle isole Eolie. In primo piano l’isola biconica di Salina.

La visita, su gentile richiesta della nostra guida, inizia salendo la doppia scala che è posta nel lato posteriore del fabbricato, quello che guarda verso i Nebrodi. Entriamo in un salone da dove si diramano entrate su tutti gli altri ambienti. La prima cosa che colpisce il mio sguardo è l’assoluta sobrietà dell’ambiente a partire dai pavimenti e dagli infissi, sia delle finestre che delle porte interne. Una sobrietà elegante, che riguarda anche le facciate esteriori e che neanche l’arredo molto particolare, scarno ed essenziale, riesce a contaminare.

Mi incuriosisce la varietà di suppellettili, come il baule da viaggio in ferro dotato di una serratura molto particolare, ci dicono inviolabile, evidenza di un artigianato molto creativo ed oggi purtroppo del tutto scomparso. Poi foto e ritratti disegnati o dipinti e busti della dinastia dei Piccolo, soprattutto della famiglia materna, che ne documentano in parte la loro storia.

Gli ospiti eminenti della famiglia Piccolo

A questo primo spazio ne segue un altro che assomiglia di più a un vero soggiorno, con grandi finestre ed un balcone che guardano il mare, che vede la presenza rilevante di un forte-piano doc dove suonò Richard Wagner durante il suo soggiorno palermitano all’Hotel delle Palme. Strumento recuperato dal palazzo palermitano che furono costretti a vendere a causa dei debiti creati dal capofamiglia, il barone Giuseppe Piccolo di Calanovella, “dissipatore e femminaro”.

Le camere da letto si evidenziano per la loro essenziale frugalità, pochi arredi, più celle da convento che camere principesche. Quella degli ospiti, in estate sempre occupata dal cugino Giuseppe Tomasi di Lampedusa, mi commuove in sé e per la lettera scritta dall’autore ai cugini pochi giorni prima di morire in una clinica romana. È possibile leggerla perché semplicemente appoggiata sullo scrittoio dove l’autore avrà scritto pagine memorabili del suo romanzo. Guardo fuori dalla finestra e ammiro l’immutabile e sempre grandioso spettacolo dell’isola di Salina. Panorama che, presumibilmente, ha ispirato il titolo di Principe di Salina assegnato al protagonista principale de Il Gattopardo.

Lucio Piccolo, il poeta della famiglia

Tutti conosciamo Giuseppe Tomasi di Lampedusa perché abbiamo letto Il Gattopardo da cui Luchino Visconti ha realizzato un film magnifico e meravigliosamente interpretato. E conosciamo in parte Lucio Piccolo, uno dei tre fratelli, il poeta della famiglia. Grande lo era sicuramente, l’ha affermato lo stesso Eugenio Montale nel lontano 1954, molto tempo prima di ricevere il premio Nobel per la poesia nel 1975. Giudizio riconfermato poi dalla nota scritta nel 1960 in occasione della pubblicazione del libro di Lucio Piccolo realizzato da Arnaldo Mondadori editore intitolato Gioco a nascondere – Canti barocchi.

Immenso accumulatore umano di parole

Mentre rileggo alcune liriche come Mobile universo di folate e L’anima e i prestigi rifletto sulla sua poesia e sul doppio titolo del suo libro. Lucio Piccolo è stato sicuramente un portentoso, immenso accumulatore umano di parole. La sua lingua era, come raramente accade, plurima. Poteva brillantemente tradurre da dodici lingue, tra le quali il persiano antico e l’aramaico. Un uomo colto, di letture super selezionate. Com’è testimoniato dalla biblioteca, non vastissima per quantità, ma umanamente praticabile e certamente praticata.

Una capacità straordinaria di mettere insieme le parole, anche rare, per comporre un verso, per trasmetterci una sensazione, il profumo di un’atmosfera. Sì, bravo, bravissimo poeta con una capacità rara di montare la struttura dei versi per farci ascoltare il suono delle combinate parole. Lui, che era anche in pectore un compositore di musica classica, scriveva la sua musica non solo utilizzando il pentagramma e le sette note dell’alfabeto musicale, ma anche le parole.

Gioco a nascondere

La prima parte del titolo del suo libro Gioco a nascondere è, secondo me, il suo dichiarato autoritratto psicologico. Quello di un uomo che per tutta la vita fa, crea, ma è come impedito a manifestarsi per quello che è, rivelandosi solo alla cerchia dei suoi familiari. Con le prime pubblicazioni si rivela agli altri attraverso i suoi versi. Non è per niente facile leggerli questi versi, perché è come pretendere di penetrare in un universo unico e sconosciuto senza possedere le chiavi.

Una di queste chiavi ce la suggerisce lo stesso autore, intitolando anche i suoi versi Canti barocchi e questo apparentemente dovrebbe facilitarci il compito. Non fosse che il barocco è stato storicamente ampiamente studiato e analizzato per quanto riguarda le arti figurative e l’architettura. Molto meno per quanto riguarda la letteratura e ancora meno all’interno della letteratura per quel che riguarda la poesia.

Il Barocco

Il barocco si rivelò al mondo all’inizio del Seicento e per almeno un secolo fu il movimento culturale dominante in Europa. Non sempre apprezzato dagli storici, anche se nelle arti figurative ci ha lasciato in eredità opere memorabili. Meno in letteratura tanto da far dire a Francesco Saverio De Sanctis (1817-1883), lo storico-critico letterario più rilevante del nostro Ottocento, che il Seicento italiano fu, dal punto di vista culturale, “un secolo corrotto e vuoto”. Responsabili la Controriforma (Concilio di Trento 1545-1563) e la dominazione spagnola di gran parte del territorio italiano.

Giudizio negativo quello di De Sanctis confermato qualche decennio dopo da Benedetto Croce (1866-1952) che aveva scritto che il Barocco aveva: “ripreso l’idea di decadenza dei valori civili e religiosi” e giudicava la letteratura barocca come “sola ricerca dell’effetto sorpresa” che metteva in secondo piano “la verità poetica”.

Il Seicento, un secolo complicato

Personalmente credo che la materia richieda un’ulteriore riflessione. Il Seicento è stato sicuramente un secolo complicato e difficile da interpretare. Tutto era stato rimesso in discussione. La Riforma proposta da Lutero provocava il crollo del concetto di “assoluto”. La verità o le verità non erano più assolute ma relative. Tutto doveva essere ripensato e ridiscusso. Nella ricerca scientifica si succedevano accadimenti strabilianti. Il sistema geocentrico tolemaico, che da millenni era il sistema cosmologico predominante, fu definitivamente ribaltato dal sistema eliocentrico di Niccolò Copernico (1473-1543). Rivisitato e confermato, da Galileo Galilei (1563- 1642) e da Giovanni Keplero (1571-1630), a livello scientifico e da Giordano Bruno (1548-1600) a livello filosofico.

Le conseguenze furono subito drammatiche. Giordano Bruno processato dalla chiesa cattolica si rifiutò di abiurare le sue teorie e fu messo al rogo in Campo dei Fiori a Roma proprio laddove è stato e eretto il monumento in suo ricordo. Galileo Galilei, processato più volte, si salvò perché abiurò ma fu comunque relegato agli arresti domiciliari nella sua casa nelle colline di Firenze fino alla sua morte. Nelle arti si reagì a questo nuovo mondo così carico di incertezze in modo differenziato.

L’alba di una nuova forma organizzativa del lavoro

Si apre un secolo che deve lasciare alle sue spalle certezze non più sostenibili. Un secolo con molte domande aperte, a cui sarà necessario dare risposte nei secoli a venire. Il Seicento è l’alba di una nuova forma organizzativa del lavoro, quella capitalistica. Subito si intravedono le conseguenze nefaste a venire. I concetti di  schiavitù e sfruttamento assumono, con la tratta degli schiavi dall’Africa, aspetti criminogeni mai prima registrati nella storia umana.

È in questo contesto che nasce nel mondo delle arti il movimento barocco, che lascia alle sue spalle le certezze rinascimentali e si inventa un suo proprio terreno di gioco, dove non esistono più regole, o codici o canoni, dove il pensiero deve correre libero. Le opere create non hanno più un principio né è possibile individuarne una fine. E riemerge qui la teoria di Giordano Bruno sull’infinito che farà scrivere allo storico dell’arte svizzero Heinrich Wolfflin (1864-1945) “come la cultura barocca sia portatrice di un’innovativa apertura al concetto di infinito. Un’infinità positiva (cioè non pura e semplice negazione del finito) è posta in stretta relazione con l’intimo dinamismo della realtà creativa”.

Molti altri gli aggettivi e commenti che la storia dell’arte o delle arti utilizzerà nei secoli seguenti. Come quella che afferma che la teoria letteraria barocca sancisce il primato dell’immaginazione, il gusto della meraviglia, dell’arguzia concettuale, della metafora funambolica, della deviazione dalla norma.

Anticipazione della moderne avanguardie

Preferisco immaginare che Lucio Piccolo nel caso del titolo Canti barocchi, lo abbia fatto pensando a Walter Benjamin che a metà del Novecento invece valutò giustamente il barocco come anticipazione delle moderne avanguardie letterarie. Non vi è alcun dubbio che il potente afflato di libertà del movimento barocco sia stato lo storico precursore delle avanguardie del ventesimo secolo. Penso per esempio al jazz o al movimento performativo Fluxus nelle arti. Se fosse così, dal titolo che Lucio Piccolo ha voluto dare alla sua pubblicazione, emerge un altro aspetto della sua personalità di poeta.

Agata Giovanna Piccolo

Poco sappiamo di Agata Giovanna Piccolo, la sorella appassionata di botanica che ha vissuto tutta la sua vita insieme ai fratelli nella grande casa, e che tanto si è occupata e impegnata nella realizzazione del giardino, lasciandoci in eredità, a noi che oggi lo visitiamo, la gioia di percorrerlo tra naturalezza mediterranea e presenza straordinaria, a volte quasi unica, di piante rarissime importate dall’altra parte del mondo come la Puya Alpestris, pianta di origine andina. Credo anche che a lei si debbano quei camminamenti segnati dai pilastri che sorreggono il percorso spontaneo e naturale di un gigantesco glicine.

Percorrendoli, nel braccio che va verso occidente, sarà stato possibile per i fratelli godere della luce del tramonto, ma anche raggiungere l’insolita installazione artistica, così a  me è apparsa, che invece è il luogo di sepoltura dei cani tanto amati dalla famiglia, segno di una sensibilità non unica ma rara. Ogni sepoltura, ne ho contate più di 10, ha una sua piccola lapide con il nome del cane defunto, e una piccola brocca di terracotta non per metterci erroneamente i fiori, ma l’acqua. Cosicché i cani svegliandosi dal loro sonno eterno possano di tanto in tanto dissetarsi.

Casimiro, artista visivo

Non conoscevo invece l’attività di artista visivo del fratello maggiore Casimiro. Abituato come sono ad incontrare gli artisti di tutto il mondo, capisco subito che il barone Casimiro Piccolo era un vero visionario. Grande era la mia curiosità di vedere i suoi acquerelli, esposti normalmente  nei locali al piano terreno dove c’erano prima le cucine. Purtroppo per me gli acquerelli erano stati tutti prestati per una mostra importante, al loro posto delle stampe, suppongo dello stesso formato degli originali.

La mia prima impressione è che il barone Casimiro ha voluto raccontare visivamente, con i suoi acquerelli, un suo personalissimo viaggio nel mondo del fantastico. Ha voluto scrivere un grande libro utilizzando al posto dell’alfabeto la sua personale visione sintetizzata e sublimata. Così, ci propone folletti, gnomi, streghe, fauni e trasognanti fumatori di oppio che appartengono a tutta la letteratura fantastica. Non si inventa niente, tutto è reinventato visivamente in una combinazione di colori e forme che più belli e immaginifici non si può.Uno stilema personale potente, a mia memoria unico nel panorama internazionale contemporaneo, che lo rivela al mondo come uno straordinario artista visivo.

Pensava di essere un fotografo, e lo era, visto che in deposito alla fondazione sono oggi custoditi migliaia di scatti dedicati ai borghi dei Nebrodi e ai loro abitanti. Un campionario storico-antropologico importante e scientifico anche per le centinaia di foto dedicate a piante e fiori. È un aspetto del suo lavoro, forse ancora non indagato, meno conosciuto, ancora da esplorare.

La visita volge al suo termine. Mi si chiede di scrivere qualcosa sul libro dei visitatori. Con emozione scrivo: “Che bella atmosfera!”. È raro imbattersi in luoghi come questo, dove l’intelligenza e la cultura che lo hanno abitato le tocchi con mano, le vedi e le respiri. Un
luogo prezioso da preservare nel tempo e con cura.

 

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