Il criterio della realpolitik governa le scelte sanzionatorie della Ue, senza alcun rispetto per l’uniformità della loro applicazione. Il caso Siria Turchia Curdi.
Io scorso 9 ottobre il governo di Ankara ha aggredito la Siria, con l’intento dichiarato di allontanare dal confine i gruppi armati curdi che da tempo rivendicano una parte del territorio turco per fondarvi un proprio Stato autonomo. La «zona di sicurezza» che la Mezzaluna vorrebbe istituire sarebbe profonda circa 30 chilometri e lunga quanto il confine tra la Siria e la Turchia. In questa area Erdoğan vuole deportare una parte dei 3 milioni e 600 mila profughi siriani che Ankara ospita, da quando questi sono stati costretti a fuggire dalle proprie case a causa della guerra. L’offensiva turca ha l’obiettivo di eliminare i Curdi del gruppo armato YPG (Unità di protezione popolare curda), ramo del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) che da molti anni combatte per l’indipendenza della regione curda in Turchia.
Il presidente Erdoğan durante la guerra all’ISIS aveva chiesto agli occidentali di non servirsi dei gruppi armati curdi per combattere il Califfato, ritenendo che dopo averlo liquidato, lo YPG si sarebbe attestato lungo il confine con la Turchia, andando a costituire una minaccia permanente per la sicurezza nazionale di Ankara. Tuttavia l’avvertimento era caduto nel nulla. Subito dopo l’inizio dell’aggressione turca l’Unione Europea aveva condannato l’operazione, chiedendo anche da parte dell’Onu una presa di posizione, che non si è concretizzata per l’opposizione di Russia e Usa. Allora i Ministri degli Esteri della Ue a Bruxelles hanno tentato di decretare l’embargo delle armi, ma non tutti gli Stati membri vi hanno aderito. La motivazione ufficiale per l’embargo sarebbe stata la violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario da parte della Turchia nel corso dei combattimenti.
Ci si chiede, però, se tale misura viene adottata coerentemente in altre circostanze. Nello Yemen, ad esempio, ormai da anni si combatte una guerra devastante che ha provocato un numero impressionante di vittime civili. Una delle parti in lotta è costituita dai ribelli Houthi sostenuti dall’Iran, l’altra da una coalizione di Stati a guida saudita. Molte accreditate organizzazioni umanitarie internazionali hanno denunciato violazioni del diritto umanitario internazionale da parte della coalizione e anche l’Ue ha condannato ciò che accade nel piccolo Paese del Golfo.
Tuttavia nessun embargo è stato proposto e approvato a carico dell’Arabia Saudita. Dobbiamo pensare che il timore di incrinare i rapporti con uno dei più ricchi Paesi produttori ed esportatori di petrolio abbia avuto la meglio sulla difesa dei diritti umani? Probabilmente sì, ma in questo caso dovremmo anche chiederci quali strade si possono percorrere per evitare che tale difesa divenga niente altro che un’arma imbracciata dalle varie diplomazie per giustificare certe guerre e condannarne altre analoghe alle prime.