La relazione cervello, pensiero, atto, strumento valeva anche per Parmenide piuttosto che per Platone, Tommaso d’Aquino, Cartesio, Hegel, Heidegger, pur nelle loro diversissime concezione filosofiche. Indubbiamente le loro diverse concezioni possono permetterci di affrontare sia modalità storiche che considerazioni di natura critica.
Resta il fatto che il loro pensiero e le loro azioni sono state e continuano ad essere “stati di relazione” che modificano il loro assetto e la loro posizione. Modificano anche le condizioni stesse di ciò che definiamo con il termine Essere: stati di relazione che pensano di volta in volta “conformazioni” e in queste avvengono “cogenze”, “deviazioni”, “metamorfosi”, “resistenze”. E così la comprensione del reale risulta sempre “sotto rinvio”.
Ad esempio in Platone si elabora la separazione tra idea e fatto (e atto), tra spirito e materia, una dicotomia che permane sino ai giorni nostri. Certo, questo è storicamente determinato. Ed è certo anche che si produce una modificazione delle relazioni, ciò permette la configurazione di stati “altri”. Si potrebbe affermare che ciò che accade nel tempo (l’evento) si fa così storia, cioè struttura narrativa.
Ciò non toglie che il pensiero può modificarsi nelle dinamiche nei flussi delle relazioni e riconfigurarsi, ma in ogni caso esso è materia nella materia e la sua dinamica ha una logica algoritmica o, se si preferisce, di calcolo logico. Per sintetizzare, si tratta di linguaggio che ha in sé ciò che noi argomentiamo come verità nell’adaequatio rei et intellectus, cioè nei modi che presuppongono la distinzione (dualismo) tra realtà e pensiero.
Il linguaggio non ha solo il potere di risolvere il dualismo realtà/pensiero con la verità. Esso inoltre elabora costantemente i modi del non adeguato, del non corrispondente, dell’immaginario e di ciò che possiamo chiamare libertà espressive. Che sono quelle che hanno in sé ciò che chiamiamo falsità o immaginazione, vale a dire la mancanza di corrispondenza diretta tra le parole e le cose.
Quando i così detti filosofi digitali (quasi tutti americani) affermano che l’intero universo funziona come un immane automa cellulare, come un immane computer, ci dicono che l’universo è digitale e ci dicono anche che era così dall’inizio (se c’era) alla fine (se ci sarà). Quindi lo era anche per Parmenide. Essendo lui, il suo corpo e il suo pensiero un insieme di stati di relazione, il fondatore della Scuola Eleatica poteva cogliere, con il proprio specifico linguaggio (storicamente determinato e quindi al di là di ogni adaeguatio), le condizioni dell’essere digitale dell’universo.