Milano cambia

logo della rubrica Spazio Milano con l'immagine della facciata del Duomo e la scritta Spazio Milano in bianco e rosa

Negli anni Ottanta e Novanta era una questione di periferie, ora del centro delle città. Allora era l’industria, fabbriche abbandonate, interi isolati di aree deindustrializzate dove degrado e abbandono si accompagnavano a un improvviso profondo silenzio. Ora è il commercio e servizi che scompaiono.

I grandi assi commerciali storici di Milano mostrano un numero di vetrine vuote superiori al turnover fisiologico. Via Torino nel breve tratto tra Piazza del Duomo e il Carrobbio ne conta una quarantina: cessazioni di attività. Ne arrivano di nuove: sono Primark, catena di abbigliamento supereconomico, Carrefour, sistemata incredibilmente nel seicentesco palazzo Casati Stampa. Ma solo in minima parte colmano i vuoti.

Migliore la situazione di Corso Buenos Aires, peggiore quella di Corso Vercelli. Di incerta salute quella di Corso Matteotti e del quadrilatero della Moda. Per le grandi catene di distribuzione alimentare come Esselunga e Carrefour, una grande occasione per aprirsi un varco a costi ridotti nel centro città. A ridosso della Galleria Vittorio Emanuele II con la conversione del Cinema Teatro Odeon viene tentata la strada della parigina Galerie Lafayette + polo multifunzionale. E un ribadire la vocazione al “lusso” del centro storico che alcuni sostengono fuori tempo massimo.

Molte attività sono cadute vittime delle vendite online, altre per la mancanza di pubblico e di margine economico per sopravvivere. Il nuovo normale non sarà semplice. Sono stati necessari più di una trentina di anni per rivitalizzare le periferie deindustrializzate con sedi universitarie, centri commerciali, nuovi quartieri e uffici. Il piano regolatore di Milano in vigore negli anni Settanta censiva in milioni e milioni di metri quadri le aree occupate dalle fabbriche.

A Milano è riuscito di cambiare. A Torino e Genova solo in parte. Così il triangolo industriale del Miracolo Economico si è disintegrato. Ma non è solo questione di attività non più valide sul piano economico, ma anche di una uniformità spiacevole che ha conquistato centri città e assi commerciali. Una debolezza, una mancanza di empatia frutto dello sfruttamento esasperato di queste aree che le hanno spogliate di ogni sorpresa e molteplicità. Le stesse catene commerciali, lo stesso tipo di negozi, le stesse gamme merceologiche, gli stessi servizi, ovvio che in queste condizioni le vendite online sfondassero.