Ballerina e coreografa, Maguy Marin
Maguy Marin, la bimba nata a Tolosa 72 anni fa da mamma madrilena e padre andaluso, esuli antifranchisti in Francia, la brunetta sulle punte al Conservatoire de Paris sotto l’ala di Nina Vyroubova, la “monella” cresciuta da Maurice Béjart alla sua scuola Mudra di Bruxelles, per sceglierla poi come interprete nei suoi spettacoli del Ballet du XXme Siècle, e darle la prima chance come coreografa con Yu-Ku-Ri, ha mostrato da sempre la grinta della guerriera, criticando in scena sempre più arditamente “il sistema” della cultura, dell’arte, della politica francese.
Scandalosa Maguy Marin, la Pina Bausch francese
Non nuova a scandalizzare il pubblico fin dal 1978, quando fonda la propria compagnia, Maguy viene considerata come “la Pina Bausch” del teatrodanza francese e inanella una serie di prove d’autrice di grande impatto e successo “di scandalo”; basti citare una Jeune Fille et la mort in chiave femminista, Hymen, Babel Babel, titoli rivelatori di una visione del mondo controcorrente.
La sua Cendrillon per ballerini-bambole del Lyon Opéra Ballet nel 1985 è un magnifico esempio di remake, che insieme poi alla Coppelia-Marilyn Monroe del 1993 per la stessa compagnia, e a Groosland su Bach (1989) con ballerini-finto obesi per Het Nationale Ballet di Amsterdam, mostra la sua mano autorale sapiente, anche per gruppi istituzionali, che sa piegare al suo linguaggio moderno alternativo. Saprebbe dunque fare “la danza”, ma potrà decidere di fare altro.
Intanto May B da Beckett del 1981 con i suoi “pazzerelli” polverosi e teneri diventa un must del repertorio della danza contemporanea, così come Eden, un anti-paradiso che il duo centrale in cui la donna si avvita a serpente sull’uomo, entrambi in calzamaglia-finto nudo trionfa ovunque, anche ora al Reggio Parma Festival, tutto dedicato a Maguy Marin, con la compagnia MM di Michele Merola, che ne interpreta anche il quartetto femminile Grosse Fugue su Beethoven del 2001
Le performance antriconformiste
Ma, sul filo dei decenni, la coreo-regista si era sempre più allontanata dal sistema organizzativo della danza francese, rendendosi autonoma rispetto ai centri nazionali e iniziando un corpo a corpo con il pubblico nel portare in scena l’immobilità e la parola, persino senza danza, suscitando urla e proteste, come al Théâtre de la Ville parigino, dove furono memorabili le reazioni per Turba su testo di Lucrezio. Maguy gioca con le platee borghesi come il gatto con topo.
La contro-celebrazione del 1989 ad Avignone
Il segnale della rivolta all’istituzione e al mercato era partito da Eh qu’est-ce-que ça m’fait à moi !? del 1989 al festival d’Avignon, contro-celebrazione dei duecento anni dalla Rivoluzione Francese, come a dire che poco importava ai cittadini odierni di quella mitologia; Marin ne umanizzava gli eroi, vedendoli come vecchi in pantofole all’ospizio; Charlotte Corday con un coltello in mano continuava a inseguire Robespierre in sedia a rotelle, facendogli esclamare “Mais encore?!”.
L’ultima creazione di ora, Deux Mille Vingt Trois, non è da meno, senza remore nell’attaccare il paese che ospitò la sua famiglia in fuga dalla Spagna.
Deux Mille Vingt Trois, duro anti-spettacolo
Mordace e irritante, per chi non la pensa come lei; snervante, per la lunghezza, il buio, il rumore: Deux Mille Vingt Trois, è il duro pamphlet della “solita” Maguy, la ribelle, la radicale, la combattente, che lo fa apposta e con determinazione a infastidire chi si aspetta uno spettacolo di danza, o eventualmente anche solo uno spettacolo. Questo infatti è un anti-spettacolo, di proposito costruito a senso unico, contro i politici e contro i ricchi, contro gli affaristi e i colonialisti, la stampa e il mondo della comunicazione.
Dopo il debutto alla Maison de la Danse di Lyon, l’ultima pièce della coreo-guerriera, è approdato a Reggio Emilia al cuore del festival toto Marin, con un ricco calendario, titolo La passione dei possibili, comprendente Umwelt del 2004, sulla fatica di vivere nei ruoli delle persone comuni e nella quotidianità immersa in un vento e un rumore costante, Nocturnes del 2012, Singspiele del 2014, oltre a una mostra fotografica delle sue opere indimenticabili a cura di Piero Tauro al Teatro Valli e a un’altra di appunti e quaderni autografi al Teatro Due di Parma.
L’opera Deux Mille Vingt Trois
Come nel memorabile Palermo Palermo di Pina Bausch, all’inizio della nuova opera di Maguy Marin, crolla un muro, ma di latta, pieno di scritte con i nomi di Putin, Berlusconi, Bezos, Rotschild, Arnauld, e altri tycoons famosi, magari mecenati delle arti; segue un’oscurità illuminata solo dalle pile di operai invisibili al lavoro forzato e scandita da colpi martellanti di tanto in tanto, quando una sorta di attore del Kabuki giapponese cammina in proscenio, nel suo kimono, reggendo in testa modellini di carri armati, aerei, yacht, banche.
Mentre intanto su uno schermo video scorrono incessanti le immagini delle macchine che stampano Euro e le foto di Presidenti e magnati, indicati con nome e cognome, i sette interpreti-coautori leggono testi, o meglio snocciolano dati, impietosi sulla assoluta mancanza di scrupoli dei “grandi” quando si tratta di manipolare e depredare. Il trattamento è schematico, dimostrativo, ripetitivo.
Alla fine, si scopre che nel buio è stato costruito un anfiteatro, speranza e simbolo forse di democrazia; una sorta di agorà dove rimettere tutto in discussione?
I mali del nostro tempo
Apologo univoco, senza sfumature sul mondo libero capitalista in cui viviamo, Deux Mille Vingt Trois ci ricorda di non dimenticare i mali che ci affliggono, avidità, aggressività, smania di possesso, come in quei suoi …Des Petits Bourgeois Les sept péchés Capitaux (1987) per il Lyon Opéra Ballet & la Cie Maguy Marin insieme, sulla musica d’assalto dell’amato Kurt Weill, capolavoro del secolo scorso, sempre d’attualità.
Della stessa autrice: Nuovi duetti, nuove danze dal mondo