Elena Santoro Reality Texture, una svolta nella fotografia

Elena Santoro, L'invasione degli ultracorpi, 1956-2023 (Realtà Aumentata)

Recentemente la Casa della Cultura di Milano ha inaugurato una propria sezione dedicata alle Arti Visive, coordinata da Carmelo Strano: principalmente con piccole mostre di taglio scientifico, e incontri. La mostra in corso riguarda “Reality Texture/ intorno alla Realtà Aumentata” della fotografa Elena Santoro (visitabile fino al 10 novembre, da lunedì a venerdì 9.30/12.30 – 15.00/18.00).

“Con queste opere la fotografia prende una svolta per i nuovi esiti compositivi, formali, prospettici e linguistici dovuti all’assunzione critica e nient’affatto supina dei principi della R.A. che consiste nella compresenza o fusione tra le due dimensioni rappresentative, fisica e virtuale. Lo fa assumendo anche il metodo processuale della sequenza-conseguenza al quale piega le suggestioni che le arrivano dal digitale” (Strano).

Nelle varie precedenti fasi di ricerca l’artista ha insistito in percorsi mirati a coagulare esiti estetici e formali tra l’attenzione a vari fenomeni evolutivi della fotografia e l’interesse a mettere a fuoco un proprio codice linguistico. Ma, in questo caso, le Reality Texture, si serve della Realtà Aumentata, partendo da uno dei tanti scatti fatti nel corso di una manifestazione pubblica (2021): scatti di curiosità fotografica che non di documentazione da reportage. Tanto che le persone sono colte di spalle quale condizione di anonimato di cui la fotografa aveva bisogno. Questo scatto – diventa la realtà di partenza per realizzare, di volta in volta, opera per opera, elaborazioni fotografiche contrassegnate da dinamiche compositive connesse con i principi di fondo della Realtà Aumentata. Gli esiti sono in ogni caso frutto della sua inventiva.

Questo impegno di ricerca fa dire a Gérard-Georges Lemaire, nel suo saggio introduttivo a una recente monografia curata con Carmelo Strano (“Elena Santoro/Reality Texture”, una coedizione italo-australiana fyinpaper e Innerself) che l’artista si impegna “verso una virata estetica della fotografia”. Il critico francese dice anche che nella Reality Texture (che in questa mostra è legata a una situazione di quotidianità urbana) esprime il suo “rifiuto di limitarsi a manipolare le regole dell’arte, per quanto moderniste possano essere; rappresenta una rivolta contro il già visto e il troppo visto e anche un modo per evitare di regredire nel territorio del museo che è in ognuno di noi (…) va anche oltre, lei vuole essere fuori dal terreno conosciuto e ha cominciato a definire i limiti di una nuova disposizione delle ragioni (o insensatezze) dell’attività estetica. Non c’è più bruttezza così come non c’è più bellezza, qualunque sia il loro significato”.

L’artista gioca tra realtà fisica (la foto di partenza) e realtà virtuale “in modo da sovvertire la situazione data ad opera anche di voli consequenziali e ribaltamenti prospettici in cui si avventura fino a produrre persino spaesamento nel fruitore.  “Il risultato è una vera nuova proposta concettuale e poetica (variamente modulabile) nel panorama della fotografia di oggi, con il rigore che ha costantemente praticato in ogni sua ricerca fra gli alambicchi del suo laboratorio ideativo, poetico, formale, compositivo” (Strano9.

Dal 2008 Elena Santoro si è votata alla fotografia sperimentale, in modo responsabile e intransigente.  Contemporaneamente ha curiosato nel laboratorio dei fotografi di ricerca, lungo l’ormai non più breve storia della fotografia. Non meno lo ha fatto in relazione a taluni aspetti della fenomenologia di quest’arte: pittorialismo, tendenza all’astrazione, dinamismo da Muybridge al futurismo, con particolare attenzione al fotodinamismo dei Bragaglia, a cominciare da Anton Giulio.

Tra le precedenti sperimentazioni si citano: “À rebours/ foto su Raygrafie” oppure “Rami”. In quest’ultima, si legge in catalogo, “la natura è totalmente trasfigurata, tra lirismo ed empatia, soggettivismo-intimismo e lirismo, tutti elementi che tuttavia sono risolutamente oggettivati e dissimulati in un segno connotativo ed espressivo assoluto, e comunque autosufficiente (Strano)”.

A proposito del lirismo, nel tempo “l’artista ha fissato talune sue riflessioni-lampo – quasi degli haiku di specifica concettualità – fondendo pensieri razionali e terreno emotivo poeticamente espresso”.

A proposito dell’interattività e dell’ambientazione in cui la R.A. si attiva, nel catalogo Carmelo Strano, dopo avere passato in rassegna talune esperienze ormai emblematiche, come Pokémon Go, enfatizza il fatto che Elena Santoro “preferisce stare nel terreno ‘reale’ della bidimensionalità che, certamente, inerte o passiva non è per nulla. Infatti, la mente e l’occhio inseguono il segno di qua e di là in ogni direzione e vanno incontro a continue situazioni imprevedibili lungo lo sviluppo compositivo reale-virtuale, che produce persino straniamento. Pratica quindi un’ulteriore svolta rispetto a quella principale della resa fenomenologica della R.A. Infatti, tutte le sue trasfigurazioni morfologiche, ritmiche, prospettiche, cromatiche, compositive, pur insistendo nel terreno della bidimensionalità, danno alla quantificazione ipertrofica della R.A anche una dimensione decisamente e altamente qualitativa, oltre che fortemente densa. Tutto un corpus che costituisce un vero contributo di cambiamento alla fotografia nel clima odierno in cui essa pare stia assumendo un ruolo di maggiore responsabilità rispetto a pittura e scultura circa il contributo di novità che ci si aspetta dall’arte nel clima della citata dimensione di complessità.”

Infatti, ultimamente l’effetto vertiginoso delle Reality Texture della Santoro è frutto di una più decisa focalizzazione sulla prospettiva. Della centralità, ormai superata da tempo, al livello sia concettuale sia emotivo, qui non c’è traccia. Le Texture si muovono sinuosamente e vorticosamente in modo pluridirezionale fino a invadere il campo d’azione della fotografia di partenza. E così “risulta chiaro che non c’è alcuna presenza di situazione connessa con l’antica mimesi”.