LA RIPROPOSTA/Pensando alla Arch-art tra passato, pandemia e il dopo – Thinking of Arch-art, between Past, Pandemic and Post

nella foto si vede un edificio disegnato a inchiostro nero con molti alberi davanti
Città della Pubblica Amministrazione, centro città - inchiostro e lavaggio - Nam-myeon, Corea del Sud - 2007
Già pubblicato su FYINpaper il 09 novembre 2020
La pandemia di Covid e l’architettura

L’impatto della pandemia di coronavirus ha lasciato la scena del design in uno stato di ambivalenza unico, in cui tutti i fattori decisivi per il successo sembrano essere in collisione frontale con la realtà. Come artista/architetto, dedito a priorità concettuali, teoriche ed estetiche, mi fa sentire un po’ il proprietario di un ristorante costoso, con tavoli ravvicinati, costretto ad operare a distanza. L’urgenza della mia professione sembra problematica, per non dire altro.

Nessuna fine in vista per quanto riguarda questo scenario globale di minacce per la salute, pericolo economico e conflitto politico. Questa situazione ha azzerato tutte quelle ipotesi basate sulla carriera di un professionista di lungo corso.  E dunque viene da interrogarsi su tutti i criteri regolarmente approvati per lo sviluppo commerciale, il consumo di energia, gli standard abitativi, l’economia della costruzione e la pianificazione dello spazio pubblico.

Come artista che ha invaso l’architettura da una porta secondaria, posso dire che, per me, lavorare in questo contesto ibrido, rappresenta uno scenario di benedizioni contrastanti. Il mio impegno per l’integrazione delle arti ha generato una combinazione di montagne russe di polemiche critiche, rifiuto professionale, instabilità economica, innovazione concettuale, attenzione dei media, soddisfazione artistica e alcuni momenti di gloria lungo il percorso.

L’approccio muldisciplinare tra arte e architettura

La sfida principale, per me, è stata effettivamente praticare questa fusione delle arti. Ciò ha significato che sia i clienti che il pubblico dovevano condividere il mio approccio basato sulla giustapposizione delle varie specialità e anche sentirsi a proprio agio con relazioni estetiche non convenzionali.

“Quando mi sono avventurato tra i territori delle arti dalla fine degli anni ’60, ho iniziato a utilizzare le connessioni tra arte e architettura come un terreno ibrido di mezzo, che ho definito arte-arco” (Cito dal mio libro intitolato De-architecture, 1987).

Marcel Duchamp ha saggiamente osservato che “per essere veramente creativi nella vita bisogna pulire la scrivania almeno tre volte”. Avevo già messo da parte tutto il bagaglio accademico regressivo che mi veniva dal college, rigettato le mie prime opere d’arte e messo in dubbio la rilevanza artistica della mia scultura pubblica (che aveva ottenuto consensi fino alla fine degli anni ’60).

La nascita e lo sviluppo di SITE

Incoraggiato dal grande architetto austriaco Frederick Kiesler –  che mi consigliò di abbandonare tutto quel coinvolgimento antiquato con l’arte astratta – ho abbandonato una carriera di scultore influenzato dal costruttivismo e mi sono tuffato nell’architettura. Poiché mi ero imbarcato in questa trasformazione con un’esperienza limitata e ambizioni ingenue, la mia decisione più giudiziosa è stata quella di registrare la mia nuova organizzazione (SITE) come organizzazione no-profit 501C3. E questo mi permise di ricevere sovvenzioni da una fondazione per i finanziamenti. Tra il supporto extra di alcuni dei miei attuali mecenati, ci sono i collezionisti Sidney e Frances Lewis e anche David Bermant. Ho preso al volo il loro interesse nello sviluppare e le proposte e le teorie di SITE. Questo supporto finanziario mi concesse il tempo di pensare, organizzare una struttura di uffici e attirare l’attenzione dei media sia per quanto riguarda l’arte sia per quanto riguarda l’architettura.

I nuovi paradigmi dell’architettura durante e dopo il Covid

In un mondo post-pandemico ci occuperemo delle realtà con budget ridotti, con un focus sul bisogno di nuovi habitat e sui conflitti tra popoli in espansione, contro le richieste di una ridotta scala degli edifici. Storicamente, la creazione di paradigmi completamente nuovi di solito ha richiesto centinaia di anni; quindi, questa opzione deve rimanere nel campo della teoria rivoluzionaria e della trasformazione dolorosamente lenta.

In termini di obiettivi immediati da perseguire per la sopravvivenza della pratica progettuale, il mio elenco include: a) aumentare il riutilizzo adattativo degli edifici esistenti; b) intensificare la ricerca sulle fonti energetiche alternative; c) implementare approcci molteplici al trasporto e a nuove scelte di riscaldamento e raffrescamento; d) offrire proposte per la riduzione dell’uso di materiali da costruzione tossici, gassosi e derivati ​​dal petrolio; e) ampliare l’applicazione nella modellazione 3D per la progettazione creativa e la tecnologia di costruzione; f) concentrare maggiormente la ricerca sullo sviluppo urbano a più livelli e sullo spazio pubblico che soddisfi i requisiti sia di distanziamento sociale che di raggruppamento della folla; g) ampliare le opzioni per una vegetazione maggiormente orientata alle aree urbane,  ai tetti verdi e all’agricoltura cittadina; h) esplorare modalità creative per ridurre le dimensioni degli spazi abitativi, occupandosi anche di un fenomeno più che mai attuale, l’aumento della popolazione; i) innovare edifici di modeste dimensioni con soluzioni volte a migliorare la comunicazione visiva e i valori della qualità della vita, evitando al contempo l’uso, nel settore del design attuale, di materiali costosi e la propensione estetica per configurazioni scultoree massicce.

 

Tutto questo nonostante e oltre l’attuale pandemia. In effetti, alcune delle più grandi esplosioni creative della storia – il Rinascimento italiano, per esempio – fiorirono durante i periodi politicamente conflittuali, devastati dalla guerra oppure dalla peste.


Thinking of Arch-art, between Past, Pandemic and Post

Already published in FYINpaper on 09 November 2020

The coronavirus pandemic’s impact has left the design scene in a state of unique ambivalence, where all of the qualifying rituals for success appear to be in head-on collision with reality. As an artist/architect, dedicated to conceptual, theoretical and aesthetic priorities, it makes me feel a little like the proprietor of a pricey restaurant, with closely spaced tables, forced to operate in a world of social distancing.

The urgency of my services seems problematic, to say the least. No end in sight regarding this global scenario of health threats, economic peril and political

Conflict. This situation has decimated all of those career-based assumptions of a seasoned practitioner. And you can questioning all of the routinely endorsed criteria for commercial development, energy consumption, housing standards, construction economics and public space planning.

As an artist who invaded architecture through the back door, I can say that for me, working in this hybrid context, has been a scenario of mixed blessings.

My commitment to the integrative arts has generated a roller coaster combination of critical controversy, professional rejection, economic instability, conceptual innovation, media attention, artistic satisfaction and a few moments of glory along the way.

The main challenge, for me, has been actually practicing this fusion of the arts. It has meant that both clients and audience were required to share my juxtaposition-of-specializations approach and feel comfortable with unconventional aesthetic relationships. In an 1987 book, entitled ‘De-architecture,’ I described this mission as follows; “When I ventured into between the arts territories during the late 1960’s, I began to use the connections linking art and architecture as a hybrid middle ground, which I referred to as arch-art.” (I quote from my book entitled De-architecture, 1987).

Marcel Duchamp wisely observed that “to be truly creative in life means you have to clean off your desk at least three times.”

From my own ‘desk cleaning’ perspective, during the 1960s, I had already

dismissed all of the regressive academic baggage from college, rejected my early art works and questioned the artistic relevance of my public sculpture (which had flourished successfully up until the late 60s). Encouraged by the great Austrian architect Frederick Kiesler – who advised me to abandon all of that old-fashioned involvement with abstract art – I discarded a Constructivist-influenced sculpture career and plunged into architecture.

Since I had embarked on this transformation with limited experience and naïve ambitions, my most judicious decision was to register my new organization (SITE) as a 501C3 non-profit organization. And this allowed me to receive foundation grants for funding. Among the extra support of a few of my existing art patrons,  there are the collectors Sidney and Frances Lewis and also David Bermant. I could engage

their interest in SITE’s evolving theories and propositions. This financial assistance gave me time to think, organize an office structure and attract the attention of both art and architecture media.

In a post-pandemic world we will deal with the realities of reduced budgets and with a questionable need for new habitat and the conflicts between burgeoning populations, versus the demands of a reduced scale for buildings. Historically, the establishment of entirely new paradigms has usually taken hundreds of years; so, this option must remain in the realm of revolutionary theory and painfully slow transformation.

In terms of immediate territories to pursue for design practice survival, my list includes: a) increase the adaptive re-use of existing buildings; b) intensify research on alternative energy sources; c) multiple approaches to transportation and new choices of heating and cooling; d) offer proposals for a reduction in the use of toxic, off-gassing and petroleum-based building materials; e) broaden the application of 3D modeling for creative design and construction technology; f) focus more research on multi-layered urban development and public space that satisfies requirements for both social distancing and crowd clustering; g) expand the options for more city-oriented vegetation, green roofs and urban agriculture; h) explore inventive means for reducing the size of dwelling spaces; but, also dealing with the actuality of burgeoning populations; i) innovate with modestly scaled building

solutions that improve visual communication and quality-of-life values, while avoiding the current design world’s use of expensive materials and aesthetic propensity for massive sculptural configurations.

All this in spite of and beyond the current pandemic. In fact, some of the greatest creative explosions in history – the Italian Renaissance, as case in point – flourished during the most plague-ridden, politically conflicted and war-ravaged times.