W Sanremo, W la guerra

W Sanremo, W la guerra

Pare non ci sia via di mezzo: o la pace piovuta da chissà dove o la guerra. E la guerra tra Ucraina e Russia (che ha invaso la prima, preceduta da vecchie e recenti storie) continua inflessibilmente. Ma pare piaccia a dritta e a manca, la guerra, vale a dire all’establishment ucraino e a quello dei Paesi che la foraggiano e incoraggiano. Non piace, certo, alla gente ucraina che muore tutti i giorni.

Per il governo del Paese invaso l’importante è vincere (e vinceremo, verrebbe da aggiungere, data l’enfasi messa da Zelensky nel suo messaggio ad Amadeus). Quando uno è sicuro di sé, mica male. Lamenta distruzione e morti? Sì, ma l’importante è vincere, e vinceremo. Le armi non mancano, i soldi sono tutt’altro che lesinati. Si dice che questo avvenga per amore della libertà e della giustizia, perché i popoli cosiddetti liberi (o anche occidentali, talvolta) amano la giustizia.

E intanto la gente muore, e i disastri si fanno irrimediabili. Irrimediabili? Nient’affatto. I popoli portatori di libertà non faranno mancare i grandi bonifici, a costo di dissanguarsi essi stessi. E intanto la gente muore in Ucraina. E viene il dubbio che, non si sa mai, questo assurdo tragicissimo teatro talvolta possa essere confuso con una vera scena teatrale. Eh sì, perché intanto la gente muore, da zero anni a tanti anni, senza differenza di genere. E però il megabancomat funziona alla grande.

Dici: ma sono stati attaccati dalla Russia, invasi, calpestati, costretti al contrattacco. Sacrosanta osservazione (anche se verosimilmente la situazione è un po’ più complicata). Ma, nel suo messaggio al Festival canoro iperpatinato di Sanremo, Mr. Zelensky, colui che, con estrema facilità, è improvvisamente balzato dalla fiction e dalla comicità a 360 gradi all’alta carica istituzionale che ricopre, chiede soltanto armi e denaro, in nome della fratellanza e della libertà. E sarebbe cosa legittima, se la richiesta non fosse esageratamente fiduciosa. E soprattutto sarebbe cosa legittima se i fan di Amadeus e Chiara Ferragni avessero ascoltato, in quel messaggio generosamente lungo e ripetitivo, un benché minimo auspicio di fine della guerra. Beninteso, con la protezione contro la Russia da parte dei popoli che generosamente la pensano come lui.

Se dico “popoli”, è chiaro che non mi riferisco agli impiegati Giulio e Guglielmo. Infatti, ogni governo elargitore di soldi e armi – o per scelta propria o perché parte di una cordata più forte – non si impegna in prima linea ad aprire trattative internazionali. Anche perché i governanti non hanno avuto mai il tempo di interrogare la gente ucraina in strada o fra le macerie (magari riservatamente): se volesse subito un consesso internazionale attivo per le opportune trattative o, al contrario, continuare nel vincere e vinceremo.

La storia insegna che questo tipo di trattativa si basa sulla disponibilità a cedere in qualcosa, da entrambe le parti, in questo caso Russia e Ucraina. Ma vincere e vinceremo, è un’altra storia, un altro epilogo. E sarà guerra e non pace, e non soltanto soldi e armi.