“Quello che facciamo è soltanto una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno”. Fuor di metafora, questo aforisma di Madre Teresa di Calcutta ci invita a riflettere sul ruolo che ogni singolo individuo svolge nella collettività. Uno degli ambiti in cui questo ruolo tende ad essere sottovalutato è quello della tutela ambientale e della lotta al cambiamento climatico.
Performative environmentalism è l’espressione con cui è stato battezzato l’ambientalismo delle azioni compiute quotidianamente a livello individuale: fare correttamente la raccolta differenziata, utilizzare meno l’automobile, consumare meno carne. Pur essendo entrato nella coscienza e nei comportamenti di molti di noi, questo approccio è spesso ostacolato da una sorta di “inerzia collettiva” che porta ciascuno a confidare nella coscienza ecologica dell’altro, nell’infondata convinzione che l’altro metterà in atto comportamenti ecologici e ambientalmente corretti (al posto nostro). Ma come possiamo esserne certi?
In quanto animali sociali siamo fortemente influenzati dalla riprova sociale: vedere che “l’altro” intraprende scelte e comportamenti ambientalmente sostenibili spinge anche noi a farle. Si evita ciò che l’altro evita, si sceglie ciò che l’altro sceglie. Ecco degli esempi: alcune utility operanti nel settore energetico sono riuscite a stimolare la riduzione dei consumi dei loro clienti inviando loro bollette “comparative” che mettono a confronto il consumo nella loro abitazione con quello medio nel quartiere. E ancora, applicando i risultati dell’esperimento effettuato dallo psicologo americano Robert Cialdini, alcuni hotel sono riusciti a incrementare il riutilizzo degli asciugamani tra i clienti indicando loro la percentuale di quanti lo avevano già fatto. Questo effetto gregge sembra essere una leva potentissima di cambiamento nel settore ambientale.
Oltre al conformismo dei comportamenti, gli individui sono più portati a compiere scelte ambientalmente sostenibili se il loro impatto è reso misurabile. Per fare un esempio relativo all’impatto della nostra alimentazione, la catena messicana Chipotle indica nel proprio menu l’impatto ambientale degli ingredienti utilizzati per produrre i propri piatti considerando parametri come l’acqua risparmiata o la CO2 emessa. Da questa stessa esigenza “quantificativa” sono nati appositi calcolatori che misurano la quantità di anidride carbonica che ciascuna persona rilascia nell’atmosfera: addirittura il calcolatore della Global Footprint Network arriva a calcolare l’overshoot day di ciascuno. Persino i risparmiatori possono misurare l’impatto ambientale delle proprie scelte di investimento.
Insomma, misurare l’impatto dei comportamenti individuali e osservare le scelte virtuose degli altri sembrano ottimi antidoti ad un potente bias ambientale: pensare che il cambiamento climatico sia un fenomeno troppo grande per essere influenzato dal comportamento di ciascuno. Le azioni individuali si sommano fino a dare vita a tendenze, e dalle tendenze scaturiscono cambiamenti culturali. E ciò di cui il dibattito ambientale ha bisogno è un grosso cambiamento culturale.