Il turista alle prese con il “made in Tuscany”

un insieme di filari di vigna al tramonto nella cornice della campagna toscana

Siamo fortunati, noi toscanacci (o, se preferite, “maledetti toscani”): non viviamo in una regione come tutte le altre, ma all’interno di quello che i guru del marketing definiscono “un brand”. Un’altra cosa che ci contraddistingue è che questo territorio, il brand Toscana appunto, è suddiviso in alcuni sottobrand: Chiantishire e Brunello di Montalcino solo per citare quelli più noti (gli altri speriamo lo diventino in breve tempo).

La Toscana stereotipata, però, proprio non ci piace, cioè quella mordi e fuggi, tanto per intenderci, che fa tanto turismo di massa modello San Gimignano, ormai “fastfoodizzata” e “souvenirizzata”. Potremmo tranquillamente definirla un “divertimentificio” (espressione che Camilla Cederna riferisce alla riviera romagnola), ubicato non sul mare ma sulle colline, quasi sulla sponda opposta dell’Adriatico.  Eh no, signori miei, questo non è l’autentico “made in Tuscany” fatto di storie e impressioni che ci rendono unici e speciali.

D’altronde, non a caso, si dice, “il sud d’Italia va bene soprattutto d’estate, il Nord va bene soprattutto d’inverno ma la Toscana va bene sempre, in ogni stagione”.

Anche di Chianti ce ne sono di due tipi. C’è quello che viene spacciato come “slow” e c’è quello veramente slow. Per definirsi un turista conoscitore del brand Toscana non è sufficiente visitare un luogo perché il Granducato, con le sue storie più o meno nascoste al turismo di massa, può essere definito anche uno stato mentale.

Diventare toscani, anche se per un limitato periodo, è possibile. Basta riuscire a trovare, tra le mille chiavi a disposizione, quella giusta che ci spalanca la porta alla Toscana più autentica, quella dei saperi e del saper fare, oltre che, naturalmente, quella dei sapori. Dei sapori si parla così tanto che desidero soffermarmi sulla diffusione dei primi due, anche perché intrinsecamente collegati. I saperi e il saper fare, infatti, raccontano storie. Tante storie tramandate di generazione in generazione in un “eterno ritorno dell’identico” che rappresenta il loro punto di forza. Un esempio? Gli antichi mestieri che, pur essendo in certi casi quasi scomparsi, ci ricordano ancora quanto è bello tutto ciò che è “handmade”, frutto della creatività e dell’ingegno di quel “genius loci” che deriva dalla contaminazione reciproca tra territorio, tradizioni e manualità. Vedere  gli artigiani all’opera potrebbe essere già una chiave per entrare nel mood del vero “made in Tuscany”, che va dalle colline al mare della Versilia e della Maremma.

 

C’era una volta – e per fortuna c’è ancora – la villeggiatura. E fortunatamente c’è ancora la Forte dei Marmi di un tempo, quella non ancora colonizzata dai russi, con i veri vip che non ostentano ma che preservano riti e miti di una meta balneare dove ancora (anche se solo in certe isole felici) “ ci si veste alla marinara” e si mangiano i bomboloni caldi. Magari ad una particolare ora del giorno.

Perché le ore del giorno, soprattutto in alta stagione, sono importanti per un turismo esperienziale. Le impressioni derivanti, per esempio, da una strada bianca del Chianti percorsa alle 10.00 del mattino oppure alle 18.00 cambiano sensibilmente. Il motivo è molto semplice. Al mattino, per esempio, non si riesce a cogliere quell’ombra su quel preciso cipresso ubicato su quella particolare strada che, solo all’ora del tramonto, diventa di un candore quasi iridescente. Ecco, questa visione trasforma il turista in un toscano, anche se per un tempo limitato. Qualcuno potrebbe controbattere: “ma è proprio necessario “trasformare” i turisti in toscani, anche solo per pochi giorni?”. Se è per sfatare il mito del falso “made in Tuscany”, e ricreare spontaneamente storie e impressioni, allora la risposta è sì.