Il nostro futuro è nella sinergia tra internet e il nostro cervello

logo della rubrica Aristotele Digitale che mostra una scultura del filosofo, ma solo la testa

Dirò di un luogo comune del quale voglio proprio disfarmi. D’altra parte non nego che è per questo che mi dedico a queste spigolature, oltre che per offrire delle provocazioni senza alcuna presunzione di verità. Una sorta di reset, insomma, o magari atto liberatorio. Per non dire che i luoghi comuni solo raramente possono aiutarci a capire qualcosa.

Ecco allora il luogo comune annunciato: il digitale si alimenta della e nella globalizzazione. Inoltre, la globalizzazione sarebbe una iattura perché renderebbe tutto uguale, equivalente, standard uccidendo le differenze e quindi le identità.

Certo sembra una argomentazione legittima. Ma ci sono osservazioni da fare al riguardo. Internet è indubbiamente uno dei fattori dominanti del digitale (sommamente efficace) ed è un fattore potentissimo di globalizzazione. Tuttavia, le informazioni che veicola (messaggi, comunicazioni, argomentazioni, immagini, disegni, video, suoni, musiche, algoritmi, ecc.) sono caratterizzate proprio dalla differenza, da infinite differenze piccole e grandi, significanti e insignificanti, comunque differenze. Internet, come la globalizzazione,  è un mondo di mondi.

Ma non era forse il modo di produzione industriale che aveva fortemente bisogno di elaborare le informazioni? E poteva arrivarci magari con una propria motivazione. Basterà ricordare il motto di Henry Ford “Any customer can have a car painted any color that he wants, so long as it is black.” (Ogni cliente può ottenere una macchina di qualunque colore voglia, purché nera). Si sa che la Ford T (a cui si fa riferimento) era opportuno fosse nera, in quanto quel colore di vernice a quel tempo si asciugava più velocemente degli altri.

Altro esempio. Non è il modo di produzione industriale che ha diffuso in ogni dove la Coca Cola che tutti bevono ed è uguale ovunque?

Il digitale, invece, non impone alcuno  standard  anche se può produrlo. Ciò che può fare – anche se non è l’unica cosa –   liberarsi del macchinismo. 

Sappiamo, certo, che in fondo il nostro computer è una macchina un po’ evoluta e che il modo di produzione digitale non sia altro che una fase successiva del modo di produzione industriale e della sua natura rivoluzionaria.

Tuttavia, sforziamoci di pensare che ciò che avviene nel computer è più vicino a ciò che accade nel nostro cervello quando prendiamo una decisione che non a ciò che accade nella nostra automobile quando una pistone fa muovere le ruote della nostra automobile. Certo, c’è pur sempre qualcosa di analogo tra i due procedimenti, ma il digitale ha semplicemente dato più potere al primo piuttosto che al secondo. Ovviamente lo straordinario regalo che possiamo farci è interrogare non le macchine ma la vita. Un regalo pericoloso, ma è in questa direzione che ci stiamo giocando non ciò che siamo stati, ma ciò che potremmo essere.

ROBERTO MASIERO 88 Articoli
Architetto, professore ordinario di Storia dell’Architettura, ha insegnato nelle Università di Venezia, Genova e Trieste. Ha contribuito alla fondazione della Facoltà di Architettura a Trieste e della facoltà Design e Arti dello IUAV, della quale è stato Vicepreside. É stato responsabile per l’UE di un Osservatorio sulle Accademie d’Arte.