Il falso mito del sud borbonico felice

Al sud di questo nostro Paese occorre dare i meriti storici che gli spettano. Ad esempio, la prima Repubblica su suolo italiano, cioè quella napoletana del 1799, e la  prima libera Costituzione ottenuta a Napoli da Ferdinando I Re del regno delle due Sicilie, tramite suo figlio Francesco, il 7 luglio 1820 ad opera dei carbonari italiani e meridionali in particolare, guidati da Guglielmo Pepe.

Smentire il mito del felice sud borbonico. Nuovo libro 

Ma allo stesso modo, occorre smentire il falso mito del regno ricco e felice del sud borbonico saccheggiato dal nord rapace e spietato. E’ appena uscito un eccellente libro di Pino Ippolito Armino (Il fantastico Regno delle due Sicilie – Laterza 2021)  che recide alla base ogni inutile, velleitario e strumentale, tentativo di revisionismo storico sul Risorgimento e l’Unità d’Italia.

Speculazione e revisionismo

C’è ancora chi vede con sfavore l’unità del nostro Paese (leghisti e neoborbonici), speculando sul ritardo economico strutturale del sud. Invero, come ci dice l’autore del libro, con dati e risultanze storiche, quasi tutte le affermazioni contenute nei libri degli untori del revisionismo unitario e risorgimentale (Alianello, Del Boca, Aprile, Oneto, Ciano) sono prive di ogni riscontro fattuale, risultando vere e proprie invenzioni, fole, fakes come si direbbe oggi.

Non è vero che il Regno delle due Sicilie fosse industrializzato e all’avanguardia in Italia.

Tutta l’industria italiana, dopo l’unità del paese, era ancora agli albori. I francesi, non i borboni, avevano creato nel primo decennio dell’ottocento le poche industrie esistenti al Sud. Ma la maggior parte del sud era arretrata e soffriva la fame. All’Esposizione universale di Parigi del 1855, nel sezione Agricoltura e Industria, il Regno Sardo era presente con 178 espositori, il Granducato di Toscana con 173 espositori, mentre il Regno delle due Sicilie era presente solo nel settore delle Belle Arti, peraltro con un numero di espositori inferiore a qualsiasi altro paese.

Non è vero che nel Regno delle due Sicilie vi fosse progresso, scolarizzazione e giustizia sociale.

Nel 1860 le strade ferrate napoletane erano 124 chilometri, contro i 200 della Lombardia i 308 della Toscana e gli 807 del Piemonte. In tutto il regno borbonico vi erano solo quattro sportelli bancari.  Dopo l’instaurazione della scuola pubblica ad opera dei francesi nel primo decennio del 1800, con la restaurazione la scuola tornò sotto il controllo dei vescovi e crollò la frequentazione. Infatti le scuole raggiungevano solo il 4% dei potenziali alunni. Il rapporto tra scuole primarie e popolazione era il più basso d’Europa, con la sola eccezione della Russia zarista. I borboni autorizzarono i Comuni a sopprimere le scuole femminili, per far fronte ai minori introiti e a ridurre il compenso dei mastri in  quelle maschili. Al censimento del 1861 risultò che l’analfabetismo al Nord era 464 maschi e 574 femmine su 1.000, mentre al Sud era di 835 maschi e 938 femmine su 1000. Nel 1856 i giornali esistenti nel Regno delle due Sicilie erano 56, ma rappresentavano solo un sesto di tutte le pubblicazioni italiane (311).

Non è vero che i briganti fossero dei partigiani.

Erano più spesso criminali, dediti al furto e alle estorsioni, con stupri di donne e omicidi, appoggiati dalla stampa reazionaria e clericale contraria all’unificazione d’Italia;

Non è vero che i piemontesi abbiano rubato il supposto grande tesoro del re Ferdinando.

In realtà la confisca ha riguardato non più di sei milioni di ducati per destinarli ai danneggiati politici del 1848; e comunque anche il patrimonio dei Savoia venne posto sotto sequestro nel 1946 quando subentrò la repubblica alla monarchia;

Non è vero che l’unità del paese abbia causato emigrazione meridionale.

Il maggior contributo all’emigrazione è stato dato dalle regioni del Nord Italia pari al 75% del totale di italiani emigrati all’estero.

Unici contraccolpi negativi

É invece vero che l’imposizione doganale del 1860/61 abbia inciso negativamente sull’economia meridionale, non favorendo quel progresso industriale del quale si è avvantaggiato solo il nord. Ma i deputati e i senatori meridionali avevano condiviso convintamente la scelta. Le infrastrutture del sud sono rimaste al palo fino al 1950, quando è stata costituita la Cassa per il Mezzogiorno. Ma il Sud non riesce a darsi una classe politica e amministrativa capace e onesta, preferendo tuttora affidarsi al clientelismo e all’opportunismo politico più spregiudicato. Tuttavia, senza perdere la speranza, e confidando nelle nuove generazioni, diciamo con Eduardo:  adda passà a nuttata.