Il digitale. L’importanza di un impegno culturale

Tre monitor accesi da cui fuoriescono dei sottili fasci di luce blu. Al centro un gruppo di cifre luminose con alternanza di 0 e 1. Sullo sfondo grattacieli illuminati

La Digital Transformation è tema centrale della nostra epoca. Con l’emergenza Covid-19, l’intera comunità umana sta riconfigurando i propri assetti sociali, economici e psicologici, ma si sta anche aprendo a superare gli indugi e le remore alle nuove tecnologie. È possibile vedere qualcosa di positivo in questa situazione terribile? Una disruptive revolution, o rivoluzione dirompente, forse? Già prima della pandemia le tecnologie digitali venivano considerate strumenti per difenderci e affrontare meglio la situazione attuale, talvolta indicata come VUCA. Questo acronimo, tratto dal mondo militare, indica le quattro sfide della contemporaneità: Volatilità, Incertezza (Uncertainty), Complessità, Ambiguità. 

Sono temi paragonabili a quelli della diffusione del SARS-CoV-2. La loro disamina e il loro contributo inevitabilmente trovano un grande supporto nella tecnologia. Tuttavia, in relazione alle ripercussioni sociali e psicologiche potrebbe essere opportuno che questo ulteriore affondo verso la tecnologia fosse accompagnato da un più forte e appropriato approccio culturale. Questo anche per evitare di perderne il controllo. Di rischiare un eccesso di confusione, frustrazione, o magari azioni di luddismo.

Certamente abbiamo già visto confusione, per esempio per quanto riguarda le manovre di promozione dello smart working. In Italia, gli esperti di digital o di gestione delle risorse umane concorderanno nel sostenere che quello che milioni di cittadini stanno facendo nelle proprie case di fronte ad un computer non sia affatto l’innovativo smart working, ma semplicemente telelavoro, impiegato in Italia già dagli anni ‘90. È evidente che occorre diffondere sempre di più la cultura del digital

Secondo il report del 2019 dell’indice dello sviluppo digitale europeo DESI (Digital Economy and Society Index), l’Italia si colloca al ventiquattresimo posto tra i ventotto Stati dell’Unione. In questa valutazione hanno pesato molto proprio gli elementi culturali e delle competenze. Questo indice misura infatti le capacità necessarie per sfruttare al meglio i vantaggi del digitale, l’utilizzo di internet fra la popolazione e la digitalizzazione delle imprese.

Se poi si pensa all’Intelligenza Artificiale, alla Realtà Aumentata, alla Blockchain, i Droni, l’Internet of Things, la Robotica, la Realtà Virtuale e la Stampa 3DC, si capisce che il gap culturale va colmato con una precisa programmazione.

Quando, all’inizio del Novecento, è stato introdotto nelle fabbriche il nastro trasportatore, c’è stata un’accelerazione dei processi produttivi e quindi di tutto il sistema economico, ma si è reso necessario frammentare le mansioni degli operai, standardizzare i tempi di produzione, sacrificare l’autonomia del lavoratore. Con ciò non si intende affermare che ci siano meccanismi insidiosi nelle tecnologie digitali. Si tratta piuttosto di un augurio perché si acquisti una consapevolezza più profonda, più critica e più diffusa.