Dal live alla post-danza, l’esperienza italiana e oltre

Sutra di Sidi Larbi Cherkaoui con monaci cinesi Shaolin, marziali, ph. Hugo Glendinning
Sutra di Sidi Larbi Cherkaoui con monaci cinesi Shaolin, marziali, ph. Hugo Glendinning

ELISA GUZZO VACCARINO –

Torino Danza, un festival che ha sempre fatto tendenza, apre le danze settembrine al Teatro Regio, per la grande platea di Mi-To/ Settembre Musica. Inaugurazione l’11 settembre con Sutra di Sidi Larbi Cherkaoui creato per i monaci cinesi Shaolin, marziali.

Milano Oltre, a settembre-ottobre, presenta un ricco portfolio di coreografi italiani, tra cui Simona Bertozzi che con Nexus “indaga nel mondo vegetale”.

Non c’è da sorprendersi, dopo una stagione estiva variegata di danza in acqua, in apnea, sugli sci, danza di “gender”, danza per donne brutte e obese, per maschi belli e vanitosi, per ballerini virtuali, per ballerini-solidi geometrici Bauhaus, visti a Spoleto.

La post-danza attuale, in tutte le sue declinazioni, dal vivo e sugli schermi, in fotografia e nel web, ha preso il potere.

A Santarcangelo Dragon, rest your head on the seabed dei madrileni Pablo Esbert Lilienfeld e Federico Vladimir Strate Pezdirc è stato danzato in una piscina-schermo da proiezione con nuotatrici sincronizzate.

https://vimeo.com/341444806

‘Grace’ di Silvia Gribaudi, ph. Luca Del Pia

A Castiglioncello, Sansepolcro e Bassano del Grappa ha trionfato la “bruttezza” autoironica della focosa, acuta, coreo-interprete Silvia Gribaudi, circondata dai suoi statuari compagni in Graces, tre bei ragazzi provetti nel vogueing, nel wrestling, nei virtuosimi ballettistici e street tra musica barocca, valzer viennese e swing di Glen Miller, con gran finale in calzoncini dorati sulla scena inondata d’acqua dove scivolare, girare e lanciare spruzzi.

Aterballetto-Centro Nazionale della Danza ha abitato un angolo dell’Antica Agorà di Atene con sei a soli, con i propri versatili danzatori, Alcuni di loro sono stati richiesti di coreografare un pezzo corto per un proprio/a compagno/a, nel progetto In/Finito, che mixa danza e fotografia d’arte, qui firmata da Costas Ordolis. Più livelli di bellezza visiva di ieri e di oggi si sono incontrati alle radici della civiltà occidentale. Le immagini finiranno in una mostra all’Istituto di Cultura Italiano nella capitale greca e in un catalogo, che unirà Atene a Capri e ad altri luoghi dove si ripeterà l’evento “danza in situ per obiettivi d’artista”.

Bolzano Danza ha puntato su un solo deliziosamente sarcastico, R.osa ancora firmato Gribaudi per Claudia Marsicano, ballerina agile, spiritosa e fieramente obesa, degna di Botero, https://vimeo.com/216195933. Inoltre, il festival del Trentino-Alto adige, a dieci anni dalla morte del grande coreografo americano, maestro della postmodern dance, ha proposto Biped, il capolavoro di Merce Cunningham, per ballerini reali e virtuali insieme, con un eccellente quartetto musicale live impegnato ad eseguire la musica di Gavin Bryars con archi, nastro registrato, electric keyboard e bastoni della pioggia, tutto a cura del CNDC di Angers in Francia.

Una questione cruciale dei nostri giorni è poi quella dell’identità, dell’assunzione di coscienza dei propri orientamenti di genere, del riconoscimento esplicito di sé nel mondo. E qui sono tante le prese di posizione in atto tramite i linguaggi e gli strumenti propri del corpo danzante.

È in corso un bel processo di Women Empowerment, senza remore, ardito e forte.

Alla Biennale Danza di Venezia lo spettacolo più rovente e discusso è stato Blink della brasiliana Michelle Moura in duo con Clara Saito, ragazze normali nei fisici non eclatanti che non temono di gettare in faccia agli spettatori l’origine del mondo, nel senso dello “scandaloso” dipinto di Gustave Courbet.

A Bassano del Grappa per B. Motion, la zona contemporanea a cura di Roberto Casarotto nel mega festival Opera Estate, ecco poi due proposte al femminile, Demonstrate Restraint dell’israeliana Yasmen Godder: una forza della natura, con accanto Tomer Damsky, DJ e cantante e performer rudemente tatuata, piccolina e arrabbiata. Entrambe sono in lotta con veli multiuso e jeans e biancheria e bastoni e oggetti. Yasmen, che ha un centro operativo a Jaffa, dove lavora anche con i bambini palestinesi, qui interroga il pubblico, al quale chiede chiedendogli di interpretare in diretta le sue azioni enigmaticamente furiose.

E poi ci sono Simona Bertozzi e la svizzera Tabea Martin in This is my Last Dance. Con gesti, parole, figure, passi, disegnati in forte tensione psicologica e dialettica tra loro, sembrava sgusciassero via dal proprio corpo e lottassero l’una contro l’altra. Insomma, si discute su come si possa continuare a ballare, a stare in scena, a fare la spaccata quando il tempo passa.

Sono quattro invece le ragazze che in Tennis Piece dell’australiana Atlanta Eke mescolano la danza rinascimentale a racchette e palline sparate ovunque a centinaia in memoria del rivoluzionario Giuramento della Pallacorda, evento-chiave della Rivoluzione Francese, in una palestra dove davvero sudano per l’impegno fisico estremo. Dopo di che si viene tutti invitati a improvvisare una piccola sequenza personale ispirata alle foto dei grandi del tennis.

Poi invece, al maschile, c’è la vorticosa “polka chinata”, vecchio ballo tra uomini che si svolgeva un tempo sotto i portici di Bologna. Si tratta di Save the Last Dance for me di Alessandro Sciarroni, Leone d’Oro per la danza alla Biennale di Venezia (2019).  Anche in questo caso un workshop permette di apprendere e praticare le basi, con capogiro assicurato.

Oriente Occidente di Rovereto non perde l’opportunità di mescolare danza urbana inglese e parkour mozzafiato francese in Zoo Humans, opera di Malik Diouf e Miranda Henderson. Si scappa dalla gabbia di uno zoo per umani e si va poi tutti in strada in parata per Animali mutanti in un clima che cambia. La danza è animalista, verde, ecologica, come la giovane attivista GretaThunberg.

Risulta evidente che adesso non basta più vedere la danza, ma bisogna che lo spettatore di antica memoria e di latina etimologia partecipi.

L’estate dei festival 2018 si era chiusa nel fuoco delle polemiche più accese sul tema cruciale della Danza 2.0, come si intitola il saggio di Alessandro Pontremoli pubblicato da Laterza lo stesso anno. L’autore si schiera a favore della danza condivisa, quella che, superando la danza frontale di fine ‘900 ormai “museale”, favorirebbe ampi “paesaggi coreografici”, una nuova terra dove si può fare a meno della critica.

Grande cammino popolare di Virgilio Sieni, ph. Giorgio Sottile

Anche la danza insomma sarebbe finalmente disintermediata. E portabandiera di questa tendenza sarebbe Virgilio Sieni. Egli intesse un dialogo che va direttamente dall’artista al suo pubblico, grazie alla sua Accademia dell’Arte del gesto che muove centinaia di non professionisti in spazi non teatrali e mette in atto una nuova “cittadinanza del corpo”.https://vimeo.com/254757534

William Forsythe_A Quiet Evening of Dance_SWT,
Seventeen _Twenty One, ph di Sadler’s Wells London Production

Più democrazia, dunque, se non fosse che gli operatori – nuova figura che supera i “vecchi” direttori artistici – spingono al massimo sul pedale dell’audience development e, ancor più, su quello dell’audience engagement. Il pubblico deve capire e fare proprie le ragioni della danza contemporanea, che per quantità di programmazione indubbiamente vince sul balletto di ieri. Basterà pensare, quanto alla freschezza e versatilità del balletto, arte sempre innovabile, al lavoro A Quiet Evening of Dance di William Forsythe (2018), un magnifico catalogo del linguaggio accademico in lunghi guanti colorati, visto alla Biennale Danza di Venezia  di quest’anno.

https://www.youtube.com/watch?v=6G5YvJ3816g

L’artista oggi ha sempre ragione e il programmatore ne diventa portavoce-complice.

Lo spettatore della danza contemporanea “democratica” ha un nuovo impegno “obbligatorio”: comprendere, farsi coinvolgere anche nei momenti di partecipazione attiva, “danzata”, che sempre più accompagnano le performance programmate in tanti spazi alternativi, e non solo nei classici black box teatrali. Spesso si tratta dei white box dei Musei, dove artisti come Sasha Waltz da una decina d’anni creano epocali ed esemplari eventi site specific.

https://www.sashawaltz.de/en/neues-museum-interaktive-website/

Il passo successivo comporta che ci si interroghi se siamo ormai alla Danza 3.0 o magari già 4.0.Infatti, i festival di arti contemporanee dal vivo hanno giocato non poche carte sull’”artisticizzazione” delle più varie attività umane, molto spesso incorporandovi un variabile tasso di danza.

Il corpo, pensante, senziente, desiderante, diversamente dalla parola, non può mentire, come affermava Martha Graham, la grande madre della modern dance americana.

I neuroni a specchio connettono i corpi di danzatori e spettatori in maniera immediata. Entrambi agiscono in sinergia con le proprie forme inter-comunicative. Il consenso è dunque di prammatica.

Artisti e programmatori – in rete interregionale e internazionale – orientano il gusto, formano un pubblico complice, dirigono le danze.

La post-critica osserva e si riserva ancora, per fortuna, la facoltà di dissentire sulla danza come arte espansa (Mario Perniola) o sulla frivolizzazione della cultura (Mario Vargas Llosa), alta e bassa a pari merito con l’esperienza dell’osservatore professionale, del drammaturgo esterno, dell’occhio esperto, del pensatore libero dal dovere di promuovere il prodotto per riempire le sale, in sintonia sempre e comunque con l’artista.

Necessariamente ora però la post-critica della post-danza è anch’essa partecipativa, nel lasciare la posizione sedentaria e farsi parte danzante in causa. Pena non avere diritto di parola. Ogni uomo/donna deve danzare, deve esprimersi, come si diceva all’epoca dell’Ausdruckstanz centro-europea dei primi del 900. E il cerchio si chiude perfettamente.