Anoressia e altro, l’incidenza della pandemia

nella foto a colori si vedono pezzi di uno specchio rotto con l'immagine di una mano e parte di un braccio

“La passione della bocca, la più appassionatamente ingozzata, è quel niente in cui nell’Anoressia mentale, reclama la privazione dove si svela l’amore”

J. Lacan

“Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore.”

Il Vangelo (Matteo 15, 17-18)

 

L’attuale emergenza Covid e le misure restrittive volte a fermare il contagio hanno avuto numerose ripercussioni sulla vita sociale. Gli psicologi hanno già lanciato l’allarme sui disagi psichici conseguenti. La profonda angoscia, scatenata dal Covid, che ha attraversato la vita di milioni di persone rappresenta un vero tsunami emotivo. Il cibo ha assunto il ruolo di manna emotiva con una posizione centrale in una quotidianità sempre più ripetitiva. Qualcuno ha iniziato a mangiare di più, ad altri si è chiuso lo stomaco. Tuttavia quella che può essere una normale reazione emotiva di alcuni per altri può configurarsi come la porta per entrare, tornare, o immergersi ancora di più nel vortice dei disturbi del comportamento alimentare.

I numeri parlano chiaro, a seguito delle prime misure di lockdown i malesseri alimentari hanno segnato una crescita del 30% e sono aumentate le richieste di ricoveri di minori di 14 anni. Secondo gli ultimi dati (ISS, Sisdca e Never Give Up) nel 2018 in Italia 3 milioni di persone soffrono di disturbi alimentari e il 70% è costituito da adolescenti. Inoltre, sempre nella Penisola, ogni anno muoiono circa 3.000 persone per anoressia e bulimia. Le persone più colpite sono di sesso femminile, ma la patologia si estende sempre più anche ai maschi.

Ad allarmare sono due fattori. Innanzitutto i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione costituiscono la prima causa di morte tra i 12 e i 25 anni. Inoltre l’età in cui il disturbo si manifesta si sta abbassando a volte sino a 8-12 anni. Solo il 10% di chi soffre di questi problemi chiede aiuto.

A puntare l’attenzione sull’aumento dei disturbi del comportamento alimentare nel clima del Covid19  è l’Istituto Superiore di Sanità (ISS), che ha pubblicato un approfondimento sul tema. Laura Dalla Ragione, direttrice del progetto per il contrasto alla malnutrizione del Ministero della Salute, scrive: “L’isolamento aumenta il rischio di un peggioramento dei sintomi. Come conseguenza della pandemia sono aumentati i casi di insorgenza della malattia, mentre si sono aggravati quelli già esistenti”.

Il Covid 19 e i fattori scatenanti i disturbi del comportamento alimentare

Sono molti i fattori alla base dei disturbi alimentari. Tuttavia alcune condizioni possono portare all’esplodere o al ripresentarsi del disturbo. La sedentarietà ha acuito il timore di ingrassare, le scorte di cibo conservate in casa hanno facilitato le abbuffate e la forzata convivenza con i familiari può aver accentuato taluni problemi comportamentali connessi col disturbo. Altri fattori che verosimilmente hanno provocato l’impennarsi del disagio sono: il maggior tempo disponibile davanti allo specchio, la quotidianità scandita dai pasti, la ripetitività, l’angoscia, l’ansia, un uso smoderato dei social network.

A peggiorare ulteriormente il quadro è l’uso eccessivo dei social durante il lockdown. L’utilizzo crescente di questi media già di per sé costituisce un elemento che può influenzare ed incidere nell’’insoddisfazione per il proprio corpo. Modelli di corpi ideali, spesso magri e perfetti (anche grazie all’aiuto di correzioni fotografiche), vengono presi come riferimento. La perfezione fisica viene vista come un biglietto di sola andata verso il successo che si conta per numero di like e follower in una realtà virtuale dove ogni commento negativo può rappresentare invece una potenziale promessa di insuccesso. Inoltre sui social è facile incontrare persone con interessi simili con le quali scambiare informazioni in un mondo parallelo dove l’immagine è tutto.

L’anoressia, dare spessore alla trasparenza

Sofferenza nella lingua Pali, di derivazione Sanscrita, è chiamata DUKKHA, che significa “dolore” e situazione insoddisfacente. DUH è un prefisso negativo e KHA significa vuoto.

Il cibo è necessità, piacere, desiderio, energia, conoscenza, cultura e incontro con l’altro, ma può anche lasciare l’amaro in bocca. Mangiando ci apriamo: si apre la bocca e si apre lo stomaco e il corpo si prepara ad accogliere. Senza questo momento di apertura e accoglienza che è necessità, non potremmo sopravvivere.

Quando si parla di disturbi del comportamento alimentare si fa riferimento specialmente alle diagnosi più gravi di anoressia, bulimia e Bed (Binge Eating Disorder) o sindrome da alimentazione incontrollata. Tuttavia l’anoressia, specialmente nella sua forma più grave, colpisce di più lo sguardo e così dà un volto alla drammaticità di questo disturbo.

Pensare di poter raggiungere degli obiettivi attraverso la modificazione del proprio corpo non è un’idea moderna, ma è presente in numerose pratiche religiose antiche. Ma cos’è che vogliono ottenere i devoti alla moderna Ascesi Anoressica? Ovvero cos’è che dal profondo spinge oggi una persona verso questa pratica di privazione rigorosa del cibo, scandita da veri e propri rituali dell’alimentazione spasmodicamente volti al controllo calorico?

La sofferenza porta con sé la riflessione, spingendo alla crescita, ma fa anche sentire unici e speciali. La felicità è condivisa, si espande ed è ben accolta dall’altro, nel dolore siamo soli e spesso l’altro non è partecipe. Il dolore non può essere trasmesso. Nel dolore in un certo senso c’è l’unicità. Questo forse il fattore che rende il fenomeno dei disturbi alimentari un problema contingente che tocca alle sue radici l’impalcatura della società occidentale stessa. Massimo Recalcati, psicanalista lacaniano, dice che pian piano l’anoressica inizia a “mangiare niente”. Il dolore si nutre di niente, il vuoto è la sua sensazione primaria poiché il dolore scava nella profondità della pelle e dell’anima. Le anoressiche gravi per lasciare un segno da qualsiasi prospettiva le si guardi accecano gli occhi con un corpo spigoloso. Forse è proprio quel niente il cibo preferito da un certo tipo di malessere profondo. Il malessere di chi ha una profonda necessità di trovare un posto nella società, vorrebbe distinguersi, essere unico, indispensabile per gli altri e sempre visibile.

L’anoressica forse teme il silenzio che circonda la sua presenza. Alla pace che segue a un buon pasto l’anoressica sceglie la battaglia. La battaglia per dare una soluzione definitiva alla trasparenza: il silenzio dell’altro di fronte all’altrui desiderio. A questa temuta trasparenza, l’anoressica dà lo spessore di un corpo spigoloso.

L’anoressica sceglie di non essere oggetto della volontà dell’altro, ne rifiuta l’onnipotenza e ne rifiuta quindi la dipendenza. Lo sguardo dell’altro che oggi e domani potrebbe ignorarla e cosa potrebbe fare lei, o lui, per essere nuovamente vista, toccata, accolta e ascoltata? Questo fattore che genera ansia, un’ansia insopportabile, si manifesta con un’esigenza di libertà volta a scongiurare la possibilità di essere consegnata dall’altro al vuoto, alla trasparenza. Per questo l’anoressia può essere vista come una missione tesa a dare spessore alla trasparenza. L’anoressica non dà scelta, la sua presenza taglia la scena e si imprime sullo sguardo. Visibile esattamente come vuole lei, l’altro non può scegliere più di darle visibilità. L’anoressica diviene così padrona della sua visibilità, impossibile da ignorare, ma anche da guardare senza che gli occhi dolgano. Le anoressiche gravi, uniche padrone della propria visibilità, rivestite di una trasparenza che ha uno spessore, una sua importanza, sono anche artefici di una costruzione potente nell’immaginario.

Le misure di Lockdown per contrastare il Covid hanno aumentato i fattori di ansia connessi con l’incontro con l’altro, diminuito le possibilità di socializzare e hanno spesso proibito la socializzazione a scuola. I giovani a casa, già smartphone dipendenti, avranno avuto più tempo da passare sui social. In una società dove lo sguardo degli altri è conferma del nostro diritto di essere al mondo, essere ristretti nell’ambito familiare in uno scandirsi delle giornate sempre più ripetitivo può far emergere come un urlo il timore di non essere più visibili per l’altro. Con il mondo fermo si solidifica il timore di essere messi da parte, di essere dimenticati, scartati, trasparenti, e a questa paura si può anche reagire decidendo di nutrire ciò che rende sicuramente unici: con la scelta di “mangiare niente” si nutrirà il proprio dolore.

A chi rivolgersi

Il Ministero della Salute, ha messo a disposizione una mappa dei centri dedicati alla prevenzione, cura e ricerca dei disturbi della nutrizione e della malnutrizione: https://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=4632&area=salute%20mentale&menu=vuoto

Fra le tante strutture il progetto no profit FoodNet promosso dalla dottoressa Deborah Colson (psicologa e psicoterapeuta dell’associazione Arp), che parla di una vera e propria epidemia. FoodNet è impegnato nella prevenzione primaria dei disturbi del comportamento alimentare e nel favorire lo sviluppo della consapevolezza della connessione tra cibo ed emozioni.

Never Give Up onlus è una realtà che riunisce un gruppo di professionisti attivi in centri di eccellenza italiani e internazionali nel campo della prevenzione, del trattamento e della ricerca sui disturbi della nutrizione e dell’alimentazione per aiutare bambini, adolescenti e giovani. Attraverso un servizio di helpmail (sos@never-give-up.it), aperto durante l’emergenza Coronavirus, professionisti rispondono in tempo reale a chi ha bisogno di aiuto.