Il digitale come la globalizzazione viene da molto lontano. É come se avessimo fatto un grande viaggio da occidente a occidente incontrando per strada non solo amici, ma il più delle volte nemici, e spesso ce li siamo anche inventati. Un viaggio incominciato ad Atene con Alessandro Magno che va ai confini con la Cina, continuato a Gerusalemme con Paolo e soprattutto Pietro che va a Roma, con Cristoforo Colombo che va verso l’ignoto seguendo ipotetiche mappe, con Newton che guardando cadere una mela ci racconta che esiste una legge così generale da valere in ogni luogo e in ogni tempo del nostro universo.
E così in una infinità di suoi viaggi la nostra umanissima storia. É stato un viaggio (una storia) per il dominio e per la totalità. Tutto ciò che abbiamo incontrato è stato violato o incluso, totalizzato, globalizzato, reso occidente. Il racconto di questo viaggio è segnato dallo scontro tra civiltà e, si sa, la storia è raccontata sempre dai vincitori.
La fine del viaggio
Ma come accade per tutte le storie anche questa ha una fine. Quando? Quando l’occidente non trova più un oriente che gli resiste se non altro per il fatto che il pianeta è tondo e andando da occidente a occidente si ritorna al punto di partenza. E allora, alla fine del viaggio, ci si guarda sgomenti allo specchio e compaiono fantasmi.
Nasce un senso di spossatezza, domina la nostalgia sulla voglia di fare, decade ogni tensione, le motivazioni si dissolvono e diventano indifferenza, si è come in convalescenza con tutti i suoi languori. domina la paura del vuoto e si diventa rancorosi. Si vorrebbe continuare il viaggio, ma è impossibile e questa è una terribile frustrazione collettiva. Immaginate un animale che prova a mangiare le proprie viscere.
Un nuovo inizio
Non possiamo che immaginare un nuovo viaggio che non abbia più lo scopo di occupare alcunché, dato che la globalizzazione e il digitale sono la differenza e non la totalità. Un viaggio che non abbia più come scopo l’appropriazione e il dominio, potremmo dire (con una parola molto in voga e non per ciò necessariamente giusta), un viaggio sostenibile.
E forse dovremmo avere anche il coraggio di immaginare un viaggio oltre il bisogno atavico di appartenenza o meglio facendo dell’appartenenza e della identità non una ragione di conflitto, ma una ricchezza per tutti: una totalità delle differenze. Dovremmo così provare a ripensare concetti come civiltà, cultura e persino quello cruciale di soggettività e responsabilità. Questo nuovo viaggio non può che essere, con tutti i pericoli del caso, nel e con il digitale, nella e con la globalizzazione.