Bollettini di guerra. Durante la seconda guerra mondiale erano diramati via radio. E suonavano di bomba. All’improvviso, di tanto in tanto, nelle occasioni di eventi forti se non scioccanti, una voce-attoriale, stentorea e decisa, declamava il fatto. E quelli che avevano un apparecchio ricevente vi si incollavano intorno. Spesso questo accadeva sulla base di messaggi che i telegrafisti specialisti dell’alfabeto morse diramavano in un circuito ristretto, soprattutto militare. Un mio prozio di linea materna, intellettuale rompiscatole calato nelle scienze e nella storia, che si procurava da vivere redigendo tesi di laurea per laureandi, avrebbe dovuto svolgere questa mansione, anche in forza della sua conoscenza del tedesco. Ma, nella sua Catania che amava alla follia, Luigi Michele Nicosia decise di sottrarsi al servizio dell’organizzazione fascista e fece ogni sforzo per dimenticarsi di quella lingua straniera. Recidivo e impenitente: per due volte giunse alle battute finali per conseguire la laurea (lettere e poi matematica). Ma non poté mai discutere la tesi non intendendo indossare la camicia nera o un analogo capo d’abbigliamento. Come accadeva nelle adunanze fasciste nelle piazze alle quali la gente accorreva ma indossando qualcosa di nero, fosse anche una mutanda arrotolata e resa foulard.
La pandemia di origine cinese ha provocato una situazione analoga, ma con grandi differenze. Si è fatta tormentosa, attimale, angosciante 24h. E se la notte fai sogni, ci scappa la sigla di una delle tante trasmissioni televisive e radiofoniche (queste ultime quantomeno intermezzando le terribili notizie con l’azione dei disc jockey). In apertura, immancabilmente il bollettino di guerra, con i numeri dei contagi, degli ospedalizzati in questo o quel reparto fino alla terapia intensiva, e dei morti. Ma non finisce qui l’aggressione che il sottofondo musicale ansimante trasforma in atmosfera thrilling. Dopo l’antipasto del sommario, dopo il pasto dei dettagli analitici, subito il digestivo, il commento, l’approfondimento: calmo, lungo, stremante e sostanzialmente fonte di incertezza. I bollettini di guerra dicevano seccamente la cosa. E ognuno si misurava, a modo proprio, con essa, che restava notizia indiscutibile, oggettiva, fatto, stato delle cose subito metabolizzato.
L’antipasto-guazzabuglio viene da giornalisti che commentano (e devono farlo innumerevoli volte nella giornata) quello che possono, e come possono, cose aeriformi suscettibili di smentita ore dopo. Non meno, la baraonda viene da loro, i grandi deuteragonisti (assieme agli infettati e alle vittime) della pandemia: i virologi. Su di loro i riflettori del piccolo schermo. Sono ciò che passa il convento, ossia l’azione veloce dei conduttori non in grado di distinguere tra quella categoria medica (o di quel settore disciplinare, per dirla in modo accademico) e similari: immunologi (che già vanno bene) e anche igienisti, farmacologi, presidenti di strutture ospedaliere o loro dipartimenti (pediatri, medicina sociale, ecc.). Tutte discipline pur sempre interessanti. Ma i loro esponenti puntualmente presentati come virologi, titolo enfatizzato non solo dalla voce del conduttore ma anche dalla striscia didascalica. E poi tutti professori, anche quando non insegnino o sono ancora allo stadio di ricercatore. E tutti i telespettatori a pendere dalle labbra di quei “virologi”. Ma c’è da capirli, i conduttori e loro aiuti: da un lato, l’atmosfera di guerra planetaria (e non tra gli alleati e i loro nemici) determinata da un non-essere invisibile, senza testa, dal comportamento meccanico e temibilissimo; da un altro lato, la timidezza e soggezione che li prendeva. Ecco: queste cose assieme probabilmente non consentono loro di saperne di più. Infatti, non chiedono preventivamente conferma agli interessati e neanche consumano due minuti per consultare la sezione del Ministero dell’Università, alla voce organico per verificare la vera disciplina di afferenza di quei “tutti virologi”. Che poi, salvo eccezioni, si tratta di pontefici. Tali in quanto lettori debolmente informati dalla lettura veloce di qualche testata straniera, si spera non transitata per il traduttore automatico. La pandemia continua a fare la fortuna di chi ha grandi soldi e delle superfarma, ma anche dei nuovi consacrati protagonisti del piccolo schermo: gli esperti, i sub-esperti, o gli pseudo esperti di virus che h24 presentano il proprio volto ai telespettatori, più puntuali degli attori di Beautiful, talora dimentichi delle loro mansioni ospedaliere, e solerti nel pubblicare libri che li “costringono” ad andare in giro per Tv (uno straordinario, si direbbe) per la presentazione del veloce manufatto cartaceo.