Ancora su Severino, la filosofia italiana e il suo anacronismo

Una superficie quadrata fondo blu su cui si inscrive una testa di profilo in nero, con sopra un punto interrogativo colorato. Tutt'intorno, in forma radiale, una serie di bande rosse con sopra delle scritte

Nel suo articolo Vittorio Mazzucconi ha ricordato Emanuele Severino scomparso il 17 gennaio scorso. L’autore, attento al problema della verità (credo come spiritualità pura), ha parlato di “bizzarra invenzione” a proposito del divenire su cui ha insistito Severino. La filosofia italiana nel Novecento (teniamo da parte gli sforamenti nel nuovo millennio) si è  caratterizzata per l’inamovibilità. Non si è mai schiodata dai binari della classicità. E questo mentre nel mondo occidentale più aperto si producevano deragliamenti profondi, i Wittgenstein, i fenomenologi e, via via, i liberi pensatori.

Questi ultimi, come fossero frutto diretto della rottura dell’atomo, hanno cominciato a vagare col pensiero agganciandosi alle cose anziché ai concetti puri. Ciò che precede Platone ancora un vero fermento lattico. Affascinanti i “frammenti” dei presocratici,  come lo sono i vangeli. In questi casi, avverti il senso dell’origine, se stai al riparo dai loro esegeti. Poi trovi il pensiero sistematico avviluppante intorno alla “consecutio” della parola sulla parola e del concetto sul concetto.

Tuttavia Severino ha fatto centro quando ha sottolineato che abbiamo identificato nei mezzi tecnologici le spinte teleologiche o  dei fini ultimi, e non nel invocare Parmenide e il suo “essere”. Nel contemporaneo, c’è stato un altro caso ancora più eclatante di blocco della filosofia italiana con incidenza lunga e inesorabile nella società e nella cultura, mentre in Francia o in Germania, per non dire in Usa, il pensiero si apriva a nuove avventure, anche se con effetti autodistruttivi. L’Italia ha amato l’anacronismo, spesso per supportare la permanenza del  baronaggio e della cattedra (chi scrive per fortuna è diventato titolare  incidentalmente).

Un attaccamento viscerale alle discipline collaudate e intoccabili nelle loro radici. È valso anche per l’estetica, ormai da alcuni decenni quotidianizzata, ma che ancora adesso, in Italia, viene considerata gregaria della filosofia, spesso per ragioni strategiche. Ma la filosofia  – diciamolo pure  – non esiste più, o perlomeno non è più quella che era sempre stata.

Il valore della filosofia deve risiedere, se si vuole trarne vantaggio a fini della crescita sociale, nel ritorno al pensare, cosa che la tecnologia non invita a fare. Filosofia classica: una doverosa cultura o gusto della lettura. La quotidianità si impone, altro che la permanenza. E così è ormai ben avviato il tempo del pensatore quotidiano. Caro Mazzucconi, per  restare in un tema di Severino, sappiamo che l’occidente è folle davvero. Specie se continua a considerarsi motore del mondo.