Naturale/Artificiale

produzione e digitale per la rubrica Aristotele digitale, cover del telefono con immagine di busto antico in marmo di uomo barbuto

Queste spigolature nel, per e sul digitale, in chiave concettuale, filosofica, sociale, economica e politica, nascono dalla convinzione che tutto è cambiato. Noi (tutti) usiamo ciò che è cambiato senza darci da fare per cambiarci (per fare-dire-pensare in altro modo). Questo è il problema del digitale: ciò che resiste noi.

Siamo profondamente convinti che ci sia una costitutiva differenza tra naturale e artificiale. Con inquietudine, ovviamente, visto che ci pensiamo come produttori dell’artificiale (fatto con gli arti). Nel contempo siamo molto orgogliosi di far parte della natura.

Sin dalle sue origini, la filosofia ci ha avvertiti: la natura ha le cause in sé, la tecnica – cioè l’artificiale – le ha fuori di sé. Cioè in noi, nei nostri bisogni, desideri, poteri, libertà.

Ok! Comunque, facciamo veramente fatica guardandoci allo specchio (nelle nostre chiacchiere, nei modi attraverso i quali ci rappresentiamo e che chiamiamo arte, nelle filosofie come nella scienza). Ci non pensare che comunque siamo anche noi natura anche quando facciamo artifici.

Una vecchia contraddizione che spesso le religioni hanno cercato di mediare. Per altro verso, alla fine del Millesettecento, abbiamo fissato una netta distinzione tra il bello naturale e quello artificiale. Tra la natura e il fare artistico e quindi tra la natura e noi. Fantastico, geniale! E siamo ancora lì e non ne usciamo. Anzi continuiamo ad andare nei musei per convincerci che sì, noi siamo altro dalla natura, ma inevitabilmente dobbiamo sottometterla, cioè farla diventare artistica, fatta per noi e con i nostri sensi-arti-sensi.

La questione allora non è più, come nelle trattazioni di Kant ed Hegel, la differenza, o il primato, tra il bello di natura e il bello artistico (o artificiale), ma cosa siamo noi sapendo che è dura, inquietante, irrisolvibile stare da una parte o dall’altra. A meno che non si pensi, come sto pensando in questo momento nel senza tempo del digitale, che non esiste alcuna differenza tra naturale e artificiale e che, con una frase sulla quale sarò costretto a ritornare, ogni tecnologia è biologia e ogni biologia è tecnologia o che il naturale va pensato-agito come un artificio e l’artificio va pensato-agito come natura … poi noi possiamo trovarci tutte le differenze che più ci aggradano. Noi siamo nel nostro tempo e nel nostro spazio, il digitale no! Anche se è in noi, con noi, per noi; anche se sta a noi governarlo, forse.

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ROBERTO MASIERO
Architetto, professore ordinario di Storia dell’Architettura, ha insegnato nelle Università di Venezia, Genova e Trieste. Ha contribuito alla fondazione della Facoltà di Architettura a Trieste e della facoltà Design e Arti dello IUAV, della quale è stato Vicepreside. É stato responsabile per l’UE di un Osservatorio sulle Accademie d’Arte.