È scomparso l’inventore dell’arte povera, Germano Celant. Peccato che questa non abbia nulla in comune con una vera povertà, che una volta, oltre ad essere una dura realtà, era una virtù praticata dai santi. Se la povertà del nostro tempo è piuttosto quella degli emarginati dal prospero mondo capitalistico, ben venga la guerriglia per combatterlo, come il nuovo teorico propone, ma cosa c’entra l’arte? Essa serviva un tempo per illustrare sulle pareti delle chiese le scene sacre di cui il popolo non sapeva leggere i racconti scritti. Oggi, invece, sembra servire proprio ai capitalisti (sia i collezionisti sia, spesso, i ricchi autori delle opere “povere”, e soprattutto i loro critici fra cui, pagatissimo, il nostro Celant). Certamente non serve al popolo che nel frattempo ha imparato universalmente a leggere, ma non ancora, purtroppo, a “capire”.
Dietro l’arte povera di oggi, fatta per la maggior parte dei residui della disgregazione del mondo, dell’anti-trascendenza, dell’anti-bellezza, dell’anti-arte, dell’azzeramento di tutti i valori, il nostro ideologo vede un nuovo valore, nonché un ottimo investimento.
Esso apre le porte dei musei di tutto il mondo nonché gli accessi alla carriere più remunerative in un business universale, una nuova realtà che egli ha l’intelligenza di saper vedere fra i primi. É la drammatica crisi del mondo contemporaneo che produce una confusione in cui crescono falsi valori e ottimi profitti.
In questo contesto, ha senso credere ancora nell’uomo, nell’anima e quindi nella vera arte? Gli artisti visivi che l’hanno dimenticata e non sanno più cosa dire si affannano a cercare nuovi linguaggi, purtroppo per parlare del nulla.
Il nuovo povero è tale non solo per una scarsità di beni materiali ma talvolta anche per la loro abbondanza. Egli è povero perché è ridotto a niente, a causa della cancellazione delle idee e di Dio, vero archetipo. Si sono invece presi per archetipi i più piccoli e primitivi frammenti che si trovano nella spazzatura. Si è voluto dimostrare che si può fare arte con essi, con dei sacchi sdruciti, della cacca in scatola, delle tele tagliate o bucate?
Invece di queste trovate, non è più semplice pensare che l’arte sia un continuare l’opera della natura, in cui ciò che è vivo, vero e organico è per ciò stesso bello? Nonché intuire e mostrare un gradino ancor più alto in cui l’uomo può salire, come un ideale, un fine, e non la caduta ai livelli più bassi e spregevoli?
Una caduta purtroppo evidenziata e teorizzata da Celant, fra l’altro nel libro dedicato a Piero Manzoni, la cui scatoletta di “merda d’artista” è riprodotta in copertina. Ricordiamo ambedue per questa eccelsa opera, proponendo però di cambiarne il titolo in quello più generale e comprensivo – “merdarte”- a cui essi si sono dedicati con successo, aprendo così a molti altri la strada che ci conduce al nulla.