Le navi dei Feaci

logo della rubrica Aristotele Digitale che mostra una scultura del filosofo, ma solo la testa

Paolo Zanenga, con il quale da anni ragioniamo sul digitale, mi segnala un passo dell’VIII canto dell’Odissea, là dove Alcinoo chiede il nome, la patria, la città, la tribù di Ulisse così da poterlo ricondurre a casa. E così Alcinoo descrive le sue navi:

 

Però che timonieri non hanno le navi Feaci,

non han timone, come le navi degli altri: esse stesse

le navi, dei nocchieri comprendon la mente e il volere:

di tutte quante le genti conoscono i fertili campi

e le città: traversan, di nebbia e caligine avvolte,

velocemente, la vasta voragin del mare; e timore

non c’è, che possan dànno patire, che vadan perdute.

 

Si potrebbe dedurre che quelle navi erano georeferenziate e governate da una sorta di intelligenza artificiale. Verrebbe voglia di immaginare (e non sarei l’unico) che nell’antichità c’è stata una cultura tecnologica molto avanzata che è andata perduta chi sa per quali reconditi motivi. Magari riprendendo altre suggestioni che emergono sempre dal canto ottavo dell’Odissea come i cani robot a difesa del palazzo di Alcinoo o dal canto XVIII dell’Iliade dove dei cyborg ancelle accompagnano il truce dio del fuoco, della metallurgia, dell’ingegneria e della scultura Efesto

 

simili in tutto a giovinette vive

……..

…….

e hanno forza e favella, e in bei lavori

instrutte son dagl’immortali Dei.

 

Non sono proprio della partita “..dai che le piramidi le hanno costruite gli alieni, e via raccontando”. E allora come me la cavo? Ripetendo qui, come continuamente in questa mia rubrica a spigolare, che il digitale non è questione né tecnica né tanto meno digitale (non esiste nulla che possa giustificarsi da solo, nemmeno il nulla), ma gnoseologica; riguarda cioè il come si configura rispetto ai nostri (ripeto nostri) sensi il mondo, il come viene elaborato concettualmente, che evidentemente non si risolve nella mera empiria, e la nostra capacità o possibilità di modificare l’esistente: il principio di necessità (in tutte le sue modalità). La tecnica!

Ora abbiamo in sostanza (sic!) due alternative:

  1. ritenere che si dia il reale e che la nostra capacità di modificarlo (perché ci tocca; in tutti i sensi) sia dovuta alla corrispondenza omoioìtica tra noi e il mondo (conosciamo perché la nostra capacità di comprensione si adatta al mondo), sino a postulare che la nostra capacità empirica risolve o si risolve nella conoscenza assoluta chiamata scienza, o 
  2. proviamo a pensare e a fare che la nostra stessa conoscenza produce (sempre nel gioco soggetto/oggetto/modo) mondi.

 

Molto sinteticamente: il conoscere produce mondi (al plurale) e non rappresenta il mondo. Questo è ciò che il digitale ci sta dicendo da quando mondo e mondo e la vita è vita e, ancor di più, da quando si è presentato in tutta la sua potenza AiT.