L’India, l’igiene pericolosa come il Covid

La foto mostra un uomo in abiti indiani gialli e bianchi distribuire cibo a due file di persone disposte parallelamente. il rancio dei presenti è costituito da un piatto di riso ed un bicchiere d'acqua
La Grande Pioggia

Da giugno a settembre si abbatte sull’India la stagione dei monsoni, con i suoi violentissimi temporali, rendendo difficile qualunque attività. Quest’anno il dilagare della pandemia peggiora la situazione.

Non sono bastati due mesi di rigoroso lockdown per frenare la crescita dei contagi, che l’8 luglio risultano essere circa 742.417 con 20.642 decessi. I numeri, come altrove, sono approssimati per difetto perché vengono testati solamente coloro che mostrano sintomi evidenti.

Le città più colpite sono Delhi e Mumbai, dove i posti in terapia intensiva si sono esauriti e i malati muoiono fuori dagli ospedali mentre attendono di essere ricoverati.

A Delhi un edificio religioso grande come venti campi da calcio è stato provvisoriamente riconvertito ad uso ospedaliero, con 10.000 posti letto, ma all’interno le attrezzature sono terribilmente carenti.

Slums

Malgrado la situazione estremamente critica, l’8 giugno il governo centrale ha posto fine ai due mesi di blocco, per tentare di fare ripartire l’economia.

I medici invitano i malati già completamente guariti a recarsi presso gli ospedali per donare il plasma che contiene gli anticorpi generati durante il trattamento.  

Crisi finanziaria, danni economici e perdite umane danno l’impressione che l’India – fra i Paesi emergenti – sia complessivamente quello che più sta soffrendo la pandemia.

Lo spettro della fame avanza in una nazione in cui la metà della popolazione vive con 1,35 dollari al giorno e le città sono circondate da immense baraccopoli di una precarietà indescrivibile.

Come spesso succede, la sofferenza genera aggressività e la minoranza musulmana, accusata perfino di diffondere il virus, è spesso oggetto di ingiustificate violenze.

Carenza d’acqua e di servizi igienici fanno apparire come primo problema la crisi umanitaria, relegando – se è possibile – la malattia in secondo piano.

Lontano da casa

Come se tutto ciò non bastasse, con il lockdown 140 milioni di lavoratori migranti (ricordiamo che l’India è una federazione di Stati) si sono trovati improvvisamente senza risorse sufficienti alla loro sopravvivenza.

L’unica scelta possibile è stata quella di tornare a casa a migliaia di km di distanza, a piedi per il blocco dei trasporti, e con la polizia alle calcagna, dal momento che era in vigore la proibizione di lasciare le baraccopoli cittadine per evitare la diffusione del virus.

Le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato le lunghe file di uomini, donne e bambini in marcia sulle autostrade deserte, spinti dalla speranza di poter sopravvivere alla catastrofe