I grandi vecchi della danza e la giovane critica

Martha Graham Dance Company, Lamentation con Eleonora Abbagnato © Andrea Ranz

I grandi della danza di ieri fanno ancora e sempre l’andatura, nonostante certa giovane critica li ritenga ormai “archivio” o “intrattenimento commerciale” ingessato, adatto per spazi e festival istituzionali. Nonostante una certa attitudine supponente per gli spettacoli compiuti e rifiniti che una nuova leva di studiosi/e accoglie con una sorta di fastidio generazionale, guardando con favore piuttosto alla performance, alla danza partecipativa, alla post-danza, e riallacciandosi così alle correnti irrazionaliste della danza pre-moderna, esoterico-spiritualista, spontaneista, pionieristico-amatoriale degli inizi del secolo scorso, i nomi forti, affermati da decenni e più tengono la scena, fedeli a se stessi e/o sensibili al mutamento, all’apertura verso nuove opportunità creative.

Mikhail Baryshnikov

Nell’epoca del presenzialismo su tutte le piattaforme, Mikhail Baryshnikov, 75 anni, Divo indiscusso del balletto classico di scuola russa, poi ballerino americano a tutto campo, dalla modern alla jazz dance, alla “mature dance”, poi attore e performer in scena e sugli schermi- magnifico come opera d’arte vivente nel monologo video Not Once di Jan Fabre alla Biennale Danza di Venezia 2021- si è esibito in incognito come clown nel poetico Snowshow di Slava Polunin al Piccolo Teatro di Milano e poi in tour.

Mikhail Baryshnikov in incognito come clown giallo; ph da Sky tg24

Sempre restio a concedersi alla stampa, Misha è arrivato a nascondersi, a farsi irriconoscibile, dopo una carriera giocata sulla più luminosa presenza scenica, unica e inconfondibile. Intanto però promuove nuovi talenti nel suo BA, Baryshnikov Arts a New York. Chapeau.

Lucinda Childs e Bob Wilson

Lucinda Childs, 83 anni, figura pivotale della postmodern dance statunitense, creatrice di un capolavoro assoluto, che resta nella storia e nel repertorio, come Dance con Philip Glass e Sol LeWitt (1979), è di scena camminando elegantissima in pigiama nero lucido e recitando brani di Susan Sontag o dai Diari di Vaslav Nijinsky in Relative Calm, impaginato da Bob Wilson, con cui collaborò in lavori epocali come Einstein on the Beach e I Was Sitting on My Patio This Guy Appeared I Thought I Was Hallucinating negli anni 70 del secolo scorso.

“Relative Calm “di Lucinda Childs e Bob Wilson, ph da https://robertwilson.com/relative-calm

La musica di Jon Gibson, John Adams e Stravinsky-Pulcinella Suite– accompagna ora danze di suprema perfezione geometrica affidate alla Compagnia italiana MP3 Dance Project, ottimamente istruita da Michele Pogliani, per dieci anni con la Childs a New York. Le luci perfette, le proiezioni al ralenti o in velocità, al LAC di Lugano in dialogo con un’installazione video animalière di Wilson, mirano con successo alla perfezione. Bestia nera della post-danza, quanto meno nei proclami che vogliono valida solo la danza per tutti, non riservata ai “corpi speciali” preparati ad hoc dei professionisti.

Blanca Li

Blanca Li, fascinosa danzatrice, attrice, regista, videomaker, coreografa di grande glamour, autrice delle danze del folle film aviatorio di Almodóvar Los amantes pasajeros, della pièce Robot, con piccoli e poetici automi danzati e videomapping, e dell’installazione virtuale immersiva Le bal de Paris portata a Spoleto Festival con grande favore dei visitatori-performer, a 60 anni, gioca con Schiaccianoci/Casse noisette, classico natalizio “d’archivio” in chiave hip hop, tra cartoon e videogiochi con un piccolo gruppo tuttofare di virtuosi/e del corpo.

Sasha Waltz

Sasha Waltz, considerata ai suoi primi passi di coreografa come “la nuova Pina Bausch”, poi dedita a mettere la sua danza espressiva in relazione con la musica e il repertorio classici- Dido and Aeneas alla Scala, Roméo et Juliette di Berlioz- ben nota per le performance nei Musei (MAXXI a Roma, Neues Museum a Berlino), a 60 anni, è celebrata, in un ricco libro, Sasha Waltz & Guests, da più generazioni dei suoi ballerini per trent’anni di creatività condivisa con la sua compagnia; un’iniziativa di Nicola Campanelli, italiano di carriera tedesca, e di Movimento Danza, centro napoletano attivissimo per la danza contemporanea in tutti i suoi stati, sotto la guida di Gabriella Stazio.

Graham e Ailey

Per andare alle compagnie che portano il nome di chi le fondò creando un repertorio durevole, oggi sono aperte ad arricchirsi con titoli nuovi di autori odierni, mentre mantengono viva e autentica l’eredità preziosa ricevuta. Le compagnie di Martha Graham e Alvin Ailey, in tour europeo e italiano, hanno mostrato come portano con sé rigorosamente il repertorio doc originario immettendo un plus odierno.

Martha Graham

La Martha Graham Dance Company a Bologna ha riproposto Errand into the Maze (1947) su musica di Gian Carlo Menotti, con set di Isamu Noguchi, tragedia di corpi sulla traccia del mito di Arianna e del Minotauro, Canticle for Innocent Comedians, (1952) tratto dal poema di Ben Belitt (1938), suite di tante vignette, Sun, Earth, Wind, Water, Fire, Moon con l’étoile siciliana-parigina Eleonora Abbagnato -interprete anche del solo datato 1930 Lamentation su Kodály (1930)- Stars, Death, su un’idea dell’attuale direttrice della compagnia Janet Eilber, con coreografie di Alleyne Dance, Robert Cohan Graham, Juliano Nunes, Micaela Taylor, Yue Yin, coordinate da Sonya Tayeh; nel menu anche il recente Cave dell’israeliano Hofesh Schechter (2022), produttore creativo Daniil Simkin, intraprendente stella brillantissima del balletto mondiale; una chiusura folgorante dal ritmo implacabile. Balletto e danza moderna-contemporanea sono finalmente fratelli.

Lo si vede anche nel film di Schechter, La vita è una danza, con l’étoile dell’Opéra de Paris Marlon Barbeau, salvata dall’incorporazione della danza “organica” del coreografo israeliano.

Alvin Ailey

Alvin Ailey II, il gruppo junior del maestro che costruì modi e titoli per valorizzare gli afroamericani, dando vita a una scuola meravigliosamente prolifica a tutt’oggi, seduce sempre per le sue peculiari dinamiche guizzanti.

“Enemy in the Figure” di William Forsythe, compagnia Alvin Ailey II, foto Erin Baiano

In vista delle date europee 2024, il tour italiano si è aperto a Vicenza, per proseguire verso Modena, Brescia e Como. È Francesca Harper a guidare il gruppo, sulla scorta dell’eredità di famiglia- la madre Denise Jefferson è stata a capo della scuola newyorkese di Ailey- dei suoi studi alle scuole dell’American Ballet e del Joffrey Ballet e della militanza negli anni Novanta con William Forsythe a Francoforte.
Sua, come ouverture, la versione da viaggio di Enemy in the Figure (1989, musica di Thom Willems), senza i props originali- parete ondulata, corda serpentina, fari manovrati dai danzatori- ma con una allegra moltiplicazione dei costumi neri ornati di frangette volteggianti e rotanti, ottima occasione per mostrare la velocità e la bravura impeccabili della bella gioventù in scena.

In Freedom Series (2021) della Harper stessa, i globi luminosi servono per dare un tocco narrativo al lavoro astratto sul puro movimento.The Hunt (2010) di Robert Battle, ora direttore della compagnia Ailey I, fa colpo per gli uomini vigorosi a torso nudo in gonnellone nere, doppiate di rosso, sulle percussioni incalzanti dei Tambours du Bronx. La chiusura, imprescindibile, è come sempre con Revelations (1969), capolavoro che non perde mai di appeal, tra gospel, soul, messe e cerimonie intrise di una religiosità di ascendenza africana-transatlantica che sa parlare a qualunque pubblico.

E dopo questi grandi, quali talenti incisivi sono alle porte? Chi è alla loro altezza? È giusto archiviare i/le grandi di ieri? Senza i/le giganti sulle cui spalle salire per vedere più chiaro e più lontano, i giovani artisti si priverebbero della linfa vitale trasmessa dai loro antenati per nutrirli sia seguendoli, sia opponendosi, ammirandoli o detestandoli, ma anzitutto conoscendoli.