Festival di Sanremo 5, son tornate a fiorire le rose

nella doto si vede un'opera d'arte con, al centro, un rigo di sangue su una radiografia del corpo umano. A destra e a sinistra due schizzi rossi e alcuni insetti verdi.
“Achille e il suo sangue”, installazione, tecnica mista, cm 120 x 107, 2021, dell’artista Feuei Tola

Se son rose fioriranno. E così è stato per Achille Lauro, il cantautore e non certo l’antico sindaco di Napoli del cui nome si impossessa il giovane Lauro De Marinis (vero nome del rapper). Tante ne sono “spuntate”, di rose, sul suo addome. Ancora una volta si è ripetuto il miracolo, quello del sangue. Ed ecco il cantante diventare un colabrodo. Sere prima il miracolo era stato doppio. La colatura partiva dagli occhi, e lui tutto tono commosso, come si conveniva, alludeva – con quel poco che si riusciva a vedere del suo corpo, data la pesante armatura che indossava – al miracolo delle lacrime rosse. Non è dato sapere se lui sappia cosa sia la body art, una pratica artistica a base concettuale-performativa avviatasi negli anni Sessanta del secolo scorso, da Gina Pane al gruppo “sanguinario” degli austriaci (buoi squartati, ecc.). La nostra artista Feuei Tola non appartiene a quel genere. Ma rende non meno fortemente plastico l’evento aristoniano nella sua installazione, appositamente realizzata per questo articolo, con titolo “Achille e il suo sangue”. Chi dei due risultava più credibile tra il performer romano e Fiorello che scherzosamente lo ha emulato? Si può solo dire chi ha fatto ridere di più: il poliedrico siciliano.

l'immagine è un disegno in bianco e nero dove si vede un uomo che si addormenta davanti alla tv; sopra di lui, un fumetto relativo alla presentazione dei due loghi di Milano Cortina 2026 presentati al festival di Sanremo
Gabriele Artusio, Sanremo a caccia dei loghi di Cortina, disegno, 2021

Vittoria dei Maneskin, “fuori di testa ma diversi da loro”, e nessuno fiati: “Zitti e buoni”, come dice il titolo del loro brano. Comunque , un contributo alla rottura degli schemi, anche se una cosa  – divenuta famosissima –  è il gesto di Adriano Celentano per i suoi “24 mila baci”, altra cosa  – banale – è il chitarrista Maneskin che continua a suonare arrampicato sulle spalle del suo collega. Un rock apparentemente hard, e sostanzialmente addolcito anche dal rap. Ma non c’è dubbio, e il risultato in classifica lo precisa, che, in fatto di rap, è stato apprezzato l’originale Willie Peyote col suo grido “Questa è l’Italia del futuro, un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte” (E non si capisce perché lui sia stato sull’altare delle musichette; forse perché “schiavo dell’hipe”?). Comunque a Willie è stato assegnato il Premio della Critica (quello della sala Stampa è toccato a Colapesce e Di Martino; ma sia Willie che il duo non hanno avuto gli onori del palco nel ritirare il premio). La grande ospite: Ornella Vanoni, ironica e frizzante sempre, e sempre capace di offrire le sue inconfondibili interpretazioni.