Covid, globalizzazione, produzione

Incrocio di binari ferroviari

Lo abbiamo sentito più volte negli ultimi mesi: Covid sta fungendo da acceleratore di  tendenze, in alcuni casi già ben avviate, in altri casi appena evidenti. Più o meno durevoli, ce lo dirà la storia. In particolare, Covid sembra contribuire a ridisegnare gli spazi della globalizzazione, modificando quelle rotte centripete, di “fuoriuscita” di persone e merci che hanno rappresentato e rappresentano tuttora dinamiche consustanziali alla globalizzazione.

Partiamo dalla rilocalizzazione delle produzioni in patria (tecnicamente, reshoring). Negli ultimi decenni la tendenza generale dei paesi industrializzati è stata quella di delocalizzare, spesso in maniera sconsiderata, le filiere di produzione all’estero (in particolare nei paesi dell’est Europa e del sud-est asiatico). Interi settori produttivi o parte di essi sono stati spostati in Paesi in grado di fornire manodopera abbondante, non specializzata e a basso costo. Il lockdown delle fabbriche e la chiusura delle frontiere negli ultimi mesi hanno evidenziato la fragilità di catene di approvvigionamento troppo lunghe: evitare colli di bottiglia nella produzione è diventata una priorità. Prendiamo il caso dell’Italia: se finora erano soprattutto aziende del settore moda a trainare il reshoring, ora questo fenomeno sembra riguardare una fetta molto più ampia di settori industriali, dalle aziende che producono prodotti sanitari a quelle che producono pneumatici per le biciclette.

Ma non sono solo le imprese a tornare a casa: a cambiare direzione sono anche le persone (anche se in senso inverso, dal centro verso la periferia). Finora i grandi centri urbani come Londra, New York o Milano hanno funto da catalizzatori di ampie fasce di popolazione “attiva”. La loro crescita smisurata ha monopolizzato risorse economiche e capitale umano. Città un tempo importanti sono diventati periferie; gran parte del territorio si è provincializzato (pensiamo all’entroterra o ai paesi del sud Italia). Negli ultimi mesi il prolungarsi del fenomeno del lavoro da remoto sta consentendo a molte persone di tornare nei propri luoghi di origine. Luoghi spesso periferici dove però si può disporre di abitazioni più ampie, di maggior verde attorno, dove con lo stesso stipendio si può inevitabilmente avere una qualità della vita più elevata sotto vari aspetti. È chiara la ragione per cui le megalopoli sembrano perdere la loro attrattiva: non è un caso che il mercato immobiliare di città come New York o Milano ne stia risentendo. Si vedrà quanto durevole sarà questo trend.

Seppure con rotte opposte, di rientro dalla periferia le imprese, di fuga verso la periferia le persone, questi fenomeni rappresentano bene due facce della stessa medaglia. La globalizzazione sta invertendo la sua rotta? É presto per dirlo. Di certo, sta cambiando pelle. E di certo con il ritorno all’ovile di imprese e capitale umano territori dimenticati potrebbero beneficiare di un rinnovato interesse e di nuovi investimenti da parte dello Stato.