Eliocentrico come un culto solare
Difficile negare che al fondo del più recente lavoro di Beppe Sabatino alberghi una profonda comunione con l’essere solare. La comunione con un grande centro perduto come il ‘Sole’ dei caldei, barattato per qualche cosa di molto più ordinario (e tanto poco divino) in noi moderni: un esile fuoco a confronto del focoso sangue che attingeva all’energia del sole e al sentimento di un culto.
L’età dell’oro
Baratto con un ben più meschino e utilitaristico ‘interesse’ verso la natura che i lavori di Sabatino stigmatizzano, facendosi partecipi di una coscienza sostanziale da noi smarrita. Per l’artista, al contrario, il senso delle idee personali riferite alla natura attinge alla tradizione dei propri avi greculi e alla maniera di perpetrarne la singolare persistenza nell’oro di un pensiero meridiano trasferito nelle profondità della terra. Trasferito nell’aurea maschera mortuaria che gli antichi mediterranei affidavano al defunto per affrontare le tenebre. Trasferito nel ramo d’oro con cui viene raccomandato ad Enea di presentarsi alle soglie della dimora infernale affinché possa percepire nel notturno itinerario il volto del padre.
Il sottosuolo tellurico
Le suggestioni dell’artista siciliano hanno la stessa provenienza. Derivano da una manualità simbolica che compare nel duplice tratto del metallo solare e del ‘catrame’ dai plumbei aspetti. La verità è che ‘tutto è eternamente tutto’ come scriveva il poeta. E solo nella compenetrazione con il tenebroso catrame si palesa il significato celeste dell’oro. Solo nella ‘notte oscura’ (se vogliamo prendere a prestito quest’immagine), cioè nell’oscura e opaca totalità in cui sprofonda qualsiasi coordinata, è possibile avvertire chiaramente la tragica assenza di luce della notte presente. Ma ciò che egli chiama ‘catrame’ non lo è affatto, anche se piace a Sabatino evocare gli effetti di una liquidità viscosa, opaca, satura. Catrame è soltanto lo sfondo tenebroso presente, come non diversamente ‘petrolio’ in Pasolini. Si rivolge alla nostra empietà, all’empietà della nostra presunzione, dei nostri orrendi misfatti che si ripetono. E qui sussiste la più profonda analogia con l’ispirazione mediterranea o meridiana che riemerge dal bagno cultuale nei mordenti con cui l’artista pennella le tavole lignee.
Le profondità oscure della luce
Recita l’antico oracolo delfico di Eraclito: “Il Sole non oltrepasserà la sua misura, altrimenti le Erinni, ministre di Dikē, lo scopriranno (e puniranno)”. Ossia: puniranno il Sole, Helios, il padre stesso e regolatore di tutta la creazione! È allora a questo senso cosmico di ‘misura’, non privo di sostanza e corrispondenza con tutte le arti umane, che i lavori di Sabatino fanno richiamo giacché derivati da quel pensiero mediterraneo di cui egli stesso è figlio. Tali eccessi – come ha scritto un grande rinnovatore del pensiero meridiano, Albert Camus – accentuano all’estremo le nostre demenze. Potrei pensare insomma che siffatti catrami (i quali catrami non sono, ma mordenti passati e ripassati con pazienza infinita, sino a ottenere opache, dense, velature), sono traslati di un senso dell’esperienza attraverso il quale gli antichi mediterranei erano usi temprare le carene delle loro imbarcazioni. Si potrebbe supporre tuttora viva nell’attitudine dell’artista, la mano antica o esperta di generazioni e generazioni che hanno steso mordenti e catrami sempre allo stesso modo. Del resto le sue pitture-installazioni-sculture son parte intrinseca di tutto ciò.
Umane troppo umane
Così le opere più recenti di Sabatino, come anche quelle che osservammo alla Rocca Malatestiana di Fano nel ’23, esemplificano tale antico ricordo intrecciato con l’opera umana e con la scienza del fare, con una filosofia aspra e tragica pari a quella dei mediterranei solari di un tempo e di oggi. Una storia, un’inquietudine, una nostalgia, esemplificate materialmente da tecniche ‘troppo umane’, pazientemente impiegate nella loro predestinazione.
Codici che cedono di fronte alla natura e alla memoria continuamente verificati nel lavoro, secondo la pratica di una grammatica e di un messaggio semplici che si volgono al mondo disgregato. Gli avvisi elementari contro il disastro che cresce, sono prelevati dal linguaggio di tutti, a tratti paiono strappati dal linguaggio dei semplici che non è quello dei luoghi comuni ma dei tragici antichi.
Ed è proprio delineandosi un siffatto messaggio, che oggi affiora dalla bocca di ognuno, che l’officina di Sabatino coincide con una filosofia antica. Un monito solitario indirizzato a ciò che conta, a chi ha cuore tuttora la natura che si concrea con le proprie leggi e misure; un allarme personale rivolto a chi non abbassa lo sguardo, ma piuttosto resiste all’empietà della presunzione, al rischio di un pericoloso agire dissennato. Come ha scritto un grande contemporaneo che ha dato significato non solo intellettualmente al ‘pensiero meridiano’, Franco Cassano (Franco Cassano che qui desidero menzionare con devoto rispetto): “Occorre invece mantenere la rotta anche quando il vento spira in direzione contraria, quando si può andare solo di bolina oppure a remi e si dispera di poter arrivare”. È proprio una tale tradizione che possiamo riferire, con qualche legittimità, alla storia dei più recenti lavori di Beppe Sabatino.