El cubano es bailador

Carlos Acosta posa in piedi con le mani sui fianchi.
Carlos Acosta nel film Yuli.

Con la morte di Alicia Alonso, la madre del balletto isolano, lo scorso  17 ottobre alle soglie del compimento dei 100 anni, si chiude un capitolo cruciale della storia della danza a Cuba, aprendone subito uno nuovo. Poco prima di lei era mancato, ultranovantenne, anche Ramiro Guerra, cino-afro-blanco, fondatore della danza moderna a Cuba, caduto in disgrazia per l’audacia delle sue proposte contestatrici post-68, non consentite dalle autorità. (Decálogo de la Apocalipsis, 1971). L’arte del corpo è un vanto della Isla Grande, per volontà, e con il sostegno decisivo, del governo dopo la presa del potere da parte di Fidel Castro nel 1959, nonostante la penuria di mezzi provocata dall’embargo statunitense.

I nuovi eroi in campo, da ora, sono due, entrambi preparati alla stessa Escuela Nacional de Ballet alonsiana.  Da una parte c’è Viengsay (libertà in lingua laotiana) Valdés (1976), figlia di diplomatici, alla testa del Ballet Nacional dopo “la Regina di Cuba”. Dall’altra, alla guida di una nuova compagnia classico-contemporanea, Carlos Acosta (1973), figlio di un camionista afrocubano, cresciuto in un quartiere di periferia. E’ alla testa di Acosta Danza dal 2016 e adesso anche del Royal Birmingham Ballet, dopo una carriera come stella del Royal Ballet inglese a Londra, dove ha superato l’ostacolo del colore della pelle, pochi anni fa ancora controindicato nella compagnia nazionale cubana.

 

Il balletto, frutto della cultura europea bianca, trapiantato ai Caraibi, ha faticato ad accettare la multirazzialità. Il film Yuli, nome di Santeria – la religione magica cubana – di Carlos, come figlio dell’Orisha afrocubano sincretico Oggún, racconta la sua storia, e quella del padre. Quest’ultimo lo costrinse con le botte a far tesoro del proprio talento unico e a diventare ballerino classico étoile, uno straordinario Santiago Alfonso, coreografo cubano, anche in tv e nel famoso club Tropicana alla Habana. Viengsay Valdés, sia pure nel segno della continuità, come ballerina ha in corpo tutta la gamma di titoli da trasmettere e tutto lo stile peculiari della casa. Ha appena annunciato una prima svolta, ovvero l’arrivo nel repertorio del Ballet Nacional de Cuba di una coreografia di stile contemporaneo di alta classe, DSCH su Schostakovich, di Alexei Ratmansky, coreografo stabile dell’American Ballet Theatre, richiesto in tutto il mondo. 

L’American Ballet Theatre fu la compagnia in cui la Alonso ebbe una luminosa carriera newyorkese e, all’epoca della Presidenza Obama, fu messaggero di apertura verso l’isola castrista, ottenendo il permesso di esibirsi al Festival habanero biennale. Carlos Acosta, per il suo gruppo ha costruito un repertorio di lavori cubani, classici e moderni, e anche internazionali di stampo decisamente contemporaneo, tra cui il magnifico Faun del coreografo fiammingo-marocchino Sidi Larbi Cherakoui, figura di spicco nel panorama globale. Egli punta ad aprire la propria scuola, riattivando con denaro inglese e con un progetto di Norman Foster la scuola di balletto di Cubanacán. Secondo tale progetto, a cui lavorarono gli architetti italiani Vittorio Garatti e Roberto Gottardi, gli edifici in mattoni dovevano celebrare l’utopia di ospitare tutte le arti in costruzioni inedite. Intanto Danza Contemporánea de Cuba, creatura di Ramiro Guerra, oggi diretta da Miguel Iglesias e aperta alla coreografia contemporanea internazionale con l’aiuto di ambasciatori stranieri di buona volontà (Jan Linkens, Billy Cowie, Rafael Bonachela), oltre a presentare molte creazioni cubane tra cui quelle di  George Céspedes, genera gruppi spin off, come Malpaso, Los Hijos del director (Julio César Iglesias) e Otro Lado, tutte di alto profilo.

 

El cubano es bailador” amava dire Alicia Alonso. Basta mettere in forma teatrale le doti naturali della gente isolana ed ecco che i ballerini formati alla Escuela Nacional de Ballet, diretta da Ramona De Sáa, sono pronti a esibirsi applauditissimi ovunque. Un successo di cui la Alonso era fierissima. E così ora tocca a Valdés e Acosta gareggiare per mantenere Cuba ai vertici dell’arte che è l’orgoglio della nazione transculturale castrista.