Disintermediazione

logo della rubrica Aristotele Digitale che mostra una scultura del filosofo, ma solo la testa

Quando avviene un passaggio di stato tra un sistema e un altro ciò che accade è una disintermediazione  tra gli elementi costitutivi del sistema. Si dissolve il collante tra le parti in gioco. 

Siamo passati da tempo dal modo di produzione industriale a quello digitale e da tempo la disintermediazione si è fatta evidente tra il sistema decisionale, la politica, gli apparati di controllo, le rappresentanze del mondo produttivo, il mondo dei servizi, il terzo settore, il sistema bancario e così elencando. Viene a mancare coesione e fiducia. I nessi che permettono ad un sistema sociale di rimanere coeso (di non portare i conflitti sino al collasso di sistema) sono da tempo incrinati.

 

Le cause sono inevitabilmente tutte interne al sistema produttivo, ai modi della ridistribuzione sociale della ricchezza e alla capacità di affermare valori collettivi, di innestare processi di  crescita e quindi anche speranza.

 

Oggi, come cause si possono indubbiamente invocare le distorsioni del neoliberismo, una diffusa tendenza delle politiche alla concentrazione dei poteri, la globalizzazione con tutti i suoi pro e contro, il disgregarsi delle comunità, una deriva nichilista, la rabbia di un presunto dio vendicatore, una inaspettata pandemia scatenata da una natura violata e recalcitrante, tutte argomentazioni più o meno plausibili, ma mi sembra di poter qui affermare che la disintermediazione nasce da due fattori: il primo l’insediarsi prepotente e diffusivo del modo di produzione digitale, cioè l’emergere di una profonda alterità cognitiva prima che produttiva; il secondo l’incapacità collettiva, diffusa e diffusiva di usare le categorie che il digitale richiede per definire e manipolare il reale. Cioè non sappiamo pensare digitale. Quando si usano strumenti inadatti si fa sempre un pessimo lavoro e spesso si fanno disastri.

 

Come rispondere alla disintermediazione quando si presenta, cioè quando i sistemi collassano? Le alternative usuali sono a) ricomporre la intermediazione. Si chiama riformismo. Oppure b) si lascia che la decostruzione faccia il suo corso catastrofico sognando, prefigurando e motivando una nuova società. Si chiama rivoluzione. Vincerà la conservazione restaurativa magari perché capace di controllare i conflitti, o la rivoluzione redentrice, magari perché  capace di scaldare i cuori?