Il gioco d’azzardo fra società e psiche

Nella foto: un tavolo da gioco, una mano che tiene quattro carte in mano, molte fiches

Noi giocatori sappiamo che il gioco d’azzardo è un’esperienza concentrata del grande gioco della vita. Sappiamo che il vero senso del gioco d’azzardo è la sfida, ma una sfida non contro altri giocatori. Questo perché tutti i giocatori sono alleati contro il più grande dei giocatori: il caso. Non si gioca d’azzardo per arricchirsi, nessuno si è mai veramente arricchito con il gioco d’azzardo.

Secondo l’ultima indagine dell‘Istituto Superiore di Sanità gli italiani che hanno giocato d’azzardo nel 2018 sono stati più di 18 milioni, cioè oltre il 36% della popolazione, con un picco massimo del 41% tra i 40 e i 64 anni, e un picco minimo del 19,5% da 80 anni in su; mentre i ludopatici, i giocatori problematici, sono circa un milione e mezzo, dunque l’8,33% del totale dei giocatori. Inoltre, secondo l’Agenzia delle Entrate, nel 2017 nelle scommesse sono stati spesi 101,8 miliardi di euro per il gioco d’azzardo.

Come mai tante persone giocano d’azzardo? Perché il gioco d’azzardo ha sempre accompagnato la civiltà umana sin dai suoi albori? (si ricordino gli astragali dei tarsi posteriori di capre, citati anche nell’Iliade, XXII,88).

Lo storico olandese Johan Huizinga dice che il gioco d’azzardo è sterile, com’è sterile lo sport. Scrive: “Si può dire che la gara, come ogni altro gioco, è essenzialmente inutile. Cioè ha fine in se stessa, e il suo esito non fa parte dell’inevitabile processo vitale del gruppo”. Infatti, chi gioca o fa sport, non soddisfa né accresce bisogni culturali o spirituali, o scientifici o artistici, non fa progredire il mondo e la specie umana.

 

Eppure lo stesso Huizinga dice che il gioco fa parte del sacro: “dentro il gioco viene incuneandosi a mano mano il senso di un “atto” sacro. Il culto s’innesta al gioco. Però il giocare in sé fa il fatto primario (…). E Huizinga, nel suo “Homo Ludens” (1939), ci fa capire cheil gioco d’azzardo ha, dunque, il suo lato serio; è compreso nel culto”.

Come fa a conciliarsi lo sterile con il sacro? Col fatto che – dice Huizinga – dai tempi remoti l’oracolo, il gioco d’azzardo e la giustizia sono connessi alla sorte, dunque allo stesso meccanismo del gioco.

Dante colloca i giocatori d’azzardo nel secondo girone del settimo cerchio dell’Inferno, quello dei violenti contro se stessi, ma facendo riferimento ai ludopatici, cioè a coloro che superano la tensione filosofico-antropologica, per precipitare nella patologia.

 

Da parte sua, Baudelaire, nel suo poema Le jeu, invidia e compatisce l’abisso cui aspira il giocatore: “Et mon cœur s’effraya d’envier maint pauvre homm. Courant avec ferveur à l’abyme béant, Et qui, soûl de son sang, préférerait en somme La douleur à la mort et l’enfer au néant”. [Si spauriva il mio cuore, ché invidiava l’ardire / di chi all’aperto abisso va incontro con fervore, / di chi, ebbro del suo sangue, arriva a preferire / al niente anche l’inferno, alla morte il dolore.]

Per la psicanalisi il giocatore d’azzardo sublima un’aggressività inconscia di tipo sessuale, riconducibile alle pulsioni anali e orali dell’infanzia, con tratti masochistici. In sostanza, il giocatore cerca nella vittoria una castrazione edipica del proprio padre con il conseguente senso di colpa, e nella sconfitta subisce una castrazione da parte del proprio padre, di cui ha evitato l’uccisione. Dunque un desiderio continuo e irrisolvibile di piacere/colpa nel vincere e perdere continuamente.    

 

Jesse Scheel, distinguished professor e art-designer, nel 2010 teorizza la Gamification quale ludicizzazione totale della vita umana, in un grande gioco perenne in cui ogni azione verrà classificata con punti e bonus.

Noi giocatori, invece, riteniamo che il gioco d’azzardo soddisfi una condizione umana di tensione e sospensione continua nel tempo, eterna, senza fine, senza utilità, senza scopo se non quello di sfidare continuamente la sorte, l’imponderabile. Un’esperienza che ha un fondamento filosofico nella ricerca inconscia di una risposta ai perché della vita, e un’esigenza antropologica che nasce dal desiderio di piegare il caso e controllare il proprio destino, nel solco di quella volontà di ricerca di conoscenza e dominio del mondo che è alla base della natura dell’homo sapiens.

In realtà, il gioco d’azzardo è antico come l’umanità. I greci fecero risalire ad una partita di dadi tra gli dei la spartizione dell’universo, i romani giocarono a dadi anche la tunica di Cristo. Dunque il gioco d’azzardo esisterà sempre, perché attinge ad un bisogno primordiale dell’uomo, ripetibile all’infinito, come l’eros; e come Eros è pericoloso, fino a quando non si unisce, in ognuno di noi, alla sua Psiche.

ALESSANDRO CALABRÌA 31 Articoli
Laurea in Giurisprudenza alla Cattolica di Milano, avendo prima studiato Filosofia. Scrittore di narrativa e teatro, avvocato civilista esperto in diritto previdenziale, assicurazioni sociali, diritto del lavoro, delle successioni e della famiglia). Consulente sindacale.

1 Commento

  1. Interessante e saggia disamina sul gioco d’azzardo, fatta da un giocatore e quindi tanto più autentica.

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