La porta delle lontananze e la chiave dell’infinito

Fernando Miglietta, opera d'arte per Papa Francesco, ombra mano con chiave che dall'alto apre uno spazio azzurro cielo sottostante

Fernando Miglietta dedica una sua opera a Papa Francesco

Il titolo è “La porta delle lontananze e la chiave dell’infinito” appartenente alla serie “Dialogo con l’infinito”. Un’opera d’arte a carattere installativo di Fernando Miglietta, artista impegnato anche nella cultura del progetto, specialmente nel campo dell’architettura, fondatore e direttore dell’Istituto Internazionale di ricerca Forme e Linguaggi del contemporaneo e della rivista Abitacolo.

Egli si è compenetrato nei segni di sofferenza che il mondo ha colto nel volto e nell’incedere del Papa, nel sagrato della Basilica di San Pietro, senza alcun fedele intorno, durante la preghiera legata alla pandemia e per la quale il Santo Padre ho invitato il mondo a unirsi. Accadeva il 27 marzo scorso.

“Ho chiesto al Signore di fermare l’epidemia: Signore, fermala con la tua mano. Ho pregato per questo”, così ha dichiarato il Pontefice in un’intervista a La Repubblica. Miglietta ha collegato questa citazione con questa sua opera in questione nella quale una chiave e una mano, in sospeso, cercano di “aprire il cielo”, e l’ha dedicata a Papa Francesco, comunicandoglielo.

La simbologia nell’opera di Fernando Miglietta riguarda il tema della lontananza (tema oggi tristemente attuale). La mano di Dio sta sopra il cielo e tiene la chiave che punta verso il cielo. Si intuisce che, sotto il cielo, c’è l’uomo, l’umanità. Il cielo è emblematicamente espresso con macchie di azzurro e non per mezzo di una rappresentazione realistica o mimetica. Atmosfera di penombra contraddetta da squarci di cielo composto e, come si è detto, solo accennato.

Questo accade nell’iconografia centrale (la mano protesa verso il basso, il cielo, e la chiave), mentre, a sinistra e a destra, due piccoli cerchi circoscrivono, col loro emblema della perfezione, due momenti di cielo, come due luci che squarciano la penombra. Un racconto intenso, non privo di trompe-l’oeil, e dove si potrebbero scorgere memorie di Mark Rothko e, per una certa rarefazione ambientale, di Anish Kapoor.